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ROMA. Terme di Caracalla, i sotterranei diventano museo aperto al pubblico.

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Le Terme di Caracalla ritrovano i sotterranei, vero fulcro del complesso più grande e meglio conservato al mondo, 130 mila metri quadrati. Ne aprono per la prima volta una parte e vi collocano, piccolo ma invidiabile museo, 47 marmi del complesso, anche capitelli enormi o figurati, e perfino, da una delle due palestre, un pezzo del rilievo che correva su quasi cento metri di lunghezza, con armi e scudi.
«Come una piccola Colonna Traiana, il ricordo delle sue guerre, che l’imperatore aveva singolarmente eternato in un luogo assai più di piaceri che non di imprese belliche: era il Foro di Caracalla, dei Severi a Roma», racconta Marina Piranomonte, che dirige il complesso. L’apertura di questo nuovo angolo della Città eterna, allestito in modo del tutto suggestivo, avverrà sabato. I capitelli, grandi anche un metro e mezzo, sono esposti a tre metri d’altezza su false colonne, perché non se ne perda l’angolo di visuale: dal Frigidarium, ne arrivano con le raffigurazioni di Ercole, Venere e Marte. Tutti i reperti sono su pedane rifinite in grigio-azzurro, a suggerire l’idea dell’acqua, l’ambientazione originaria.
«A ritrovare il fregio, con soldati, armi e barbari, di cui si è purtroppo salvato poco, è stata Gunhil Jeneweid, che ha pubblicato a Vienna un libro bellissimo, tre tomi: averla con noi, è assai importante», sottolinea la direttrice Piranomonte.
LA BATTAGLIA CON l’OPERA
I nuovi locali segnano un’altra tappa nella «resurrezione» delle Terme, viste da tutti, però poco studiate, per 70 anni monopolio del Teatro dell’Opera e della stagione estiva: le sue strutture sono durate fino al 2000. Da allora, restauri e progressivi recuperi, sfociati, ad ottobre, in quello del Mitreo. «I marmi li avevano recuperati un po’ dappertutto e nel 1996, per timore dei furti, posti nei sotterranei: sono assai prestigiosi; ma ci sono voluti 16 anni per riuscire a mostrarli al pubblico», spiega la direttrice. Se le grandi opere d’arte che erano qui sono ormai disperse in tanti tra i musei del mondo, e specialmente l’Archeologico di Napoli dall’immenso Toro Farnese in poi, quanto resta non è certo meno affascinante. I sotterranei sono ben due chilometri di gallerie carrozzabili, alte e larghe sei metri; ora, se ne vedrà un decimo, dove le opere verranno collocate in sette «isole», dedicate alle due palestre, al Frigidarium, alla Natatio e le biblioteche, con trabeazioni architettoniche lavorate chiuse in armadi metallici, «quasi grandi scaffali con dentro come i libri della storia», spiega Piranomonte. Qui dentro, in tre livelli sotterranei, con i lucernai che facevano circolare l’aria e non marcire la legna, c’erano i depositi, i forni per riscaldare le acque dal Calidarium e delle saune, un mulino, il Mitreo, l’impianto idrico: ciò che serviva alle esigenze di una folla, forse ottomila persone al giorno, che affollava «le ville della plebe».
Questi sotterranei, che torneranno visibili per la prima volta, erano così mastodontici perché vi doveva transitare la legna, su carri trainati da cavalli: su un lato di Via Antonina, si ammira ancora una rotatoria, con al centro il posto di guardia del custode, o controllore del traffico.
LA PISCINA OLIMPICA
E restano un’attrazione la Natatio, piscina olimpionica ante litteram e scoperta, 50 x 22 metri e pareti alte 20; c’era una scalinata per entrarvi. O le biblioteche: l’unica che è riconoscibile (scoperta nel 1912 e scavata negli Anni 80) è accanto all’ingresso dall’Aventino: un rettangolo di 38 per 22 metri, tre pareti coperte con 32 nicchie e una più vasta al centro, forse per una statua di Atena. Nelle palestre, è stata ritrovata parte della decorazione, assai complessa e in pregiatissimo marmo del monte Pentelikon, sopra i fusti in granito grigio con basi, capitelli e trabeazione. Aveva corone di quercia, immagini di Giove, un’architrave, altri simboli. Dagli amorini ai putti alati, che cacciavano anche un cinghiale; le armi, e perfino la testa di un barbaro: li rivedremo, ora, nelle due nuove gallerie. Il rilievo doveva comprendere varie tappe d’una campagna e di scene militari, forse di Settimio Severo, padre di Caracalla, al quale si devono le Terme, inaugurate nel 216. Per esse, è abbattuto un intero quartiere: sei metri sotto l’attuale livello, si vede ancora una domus adrianea, che fu rasa al suolo.
I capitelli, le colonne e le basi della Biblioteca non ci sono invece più: dall’inizio del XIII secolo, sono quelli della navata centrale di Santa Maria in Trastevere; ancora conservano i busti delle divinità egizie, e rimandano alla Biblioteca di Alessandria, decorata proprio così. Ma restano immagazzinati ben 2.600 frammenti.
 
Fonte: http://www.ilmessaggero.it, 19 dic 2012

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