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RAVENNA. Il recupero dell’ancora a Punta Marina.

Certamente di età moderna, tipologia tradizionale, forse di brigantino: per ora l’ancora recuperata sabato 21 ottobre sul fondale di Punta Marina offre più misteri che certezze. Ipotetico dire a che imbarcazione appartenesse e se ne fosse l’ancora  principale, quale fosse la destinazione e il carico della nave, se si tratti di un’ancora persa o volutamente abbandonata, se nei pressi si possa trovare anche il relitto della barca e da quanto tempo giacesse a 4 metri di profondità di fronte alla spiaggia di Punta Marina, a pochi chilometri da Ravenna. Le forti concrezioni che la ricoprono impediscono quella datazione certa che solo un accurato e costoso restauro potrà rivelare.
Secondo Costantino Meucci, ex direttore dell’Istituto Centrale per il Restauro di Roma, si tratta comunque di un reperto eccezionale: sarebbe, in Italia,  l’unica ancora sommersa (rinvenuta in mare) che conservi integro il guscio in legno del ceppo.
Sono proprio il legno e la forma delle unghie delle marre i principali indicatori cronologici di questo tipo di reperto. Seppure fortemente incrostate, le unghie parrebbero a foglia, caratteristica di una tipologia indicativamente “spagnola” in uso dal XVI al XVIII secolo, ma solo l’analisi al carbonio 14 (C14) effettuata sulla cellulosa del legno del ceppo potrà dare la datazione esatta.

L’ancora, che si presenta in buono stato di conservazione, pesa poco più di 2 quintali ed è di dimensioni relativamente modeste. Il fusto in ferro (dal “diamante” all’anello “cicala”) è lungo m. 2,40, i “bracci” ricurvi misurano un metro, la distanza tra le due marre è di m. 1,20 e il diametro dell’anello è di cm. 35.
Il ceppo, lungo m. 2,16, è costituito da due valve in legno che racchiudono un’anima costituita da una barra di ferro: le due parti in legno sono fissate da un grosso chiodo in ferro centrale e sono unite trasversalmente da una serie di cavicchi in legno di 1 cm di diametro.

Le operazioni di recupero si sono svolte sabato mattina nel tratto di arenile compreso tra i bagni “Quattro Venti” e “Pelo”, a circa 300 metri dalla costa, alla presenza di Maria Grazia Maioli, archeologa della soprintendenza, e del vicesindaco di Ravenna Giannantonio Mingozzi. Il programma di recupero ha visto prima la messa in acqua del gommone d’assistenza, seguito dall’immersione di una squadra di sette sommozzatori che si sono avvicendati nelle diverse fasi. Il team era diretto dal dott. Faustolo Rambelli, responsabile del Museo delle attività subacquee di Ravenna, e da Franco Morigi del Gruppo Ravennate Archeologico, sotto la supervisione del tecnico subacqueo della soprintendenza Alain Rosa; alle operazioni di recupero hanno partecipato anche altri operatori specializzati del GRA nonché lo “scopritore” dell’ancora Andrea Casadei, l’apneista ravennate che il 25 agosto scorso ha individuato il reperto, dandone comunicazione alla Capitaneria di Porto di Ravenna.

L’ancora (precedentemente segnalata con un gavitello di superficie) giaceva su una marra e si presentava ricoperta da uno strato di concrezioni marine e bivalvi: ciò fa supporre che abbia subito diverse fasi di immersione ed emersione dalla sabbia,  modificate nel tempo da correnti marine e moti ondosi.
Dopo aver liberato il reperto dai pochi sedimenti che la imprigionavano sul fondale, l’ancora è stata portata in superficie con quattro palloni di sollevamento che, opportunamente posizionati, hanno permesso di alzarla fino alla linea di galleggiamento. Così sorretta è stata trainata il più possibile vicino a riva dove è stata caricata su un carrello predisposto ad hoc per evitarle movimenti che ne mettessero a repentaglio l’integrità.
Terminato l’intervento di recupero vero e proprio l’ancora è stata portata nell’area retrostante il Centro di Medicina Iperbarica di Ravenna dove era stata approntata una vasca (di m. 5×3, profonda m. 2) riempita con acqua dolce fornita per l’occasione da un’autobotte dei Vigili del Fuoco di Ravenna. Qui resterà sommersa fino al momento del restauro.

La prossima settimana i restauratori dovrebbero effettuare una prima ispezione e, se possibile, procedere ai primi interventi di pulizia. Il restauro si annuncia particolarmente delicato per la natura dei materiali che compongono l’ancora (ferro e legno), materiali che per la loro diversità prevedono trattamenti e tecniche di restauro assai differenti. Al momento si spera di poter separare la parte in legno da quella in ferro per riassemblare l’ancora a restauro ultimato.


Fonte: Soprintendenza ai Beni Archeologici dell’Emilia Romagna 21/10/2006
Autore: Carla Conti

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