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Paolo CAMPIDORI, Il concubinato nel diritto romano antico.

Le leggi romane augustee introdussero il riconoscimento dello status del concubinato, in alcuni specifici casi.  Con esso  si intendeva l’unione stabile extra-matrimoniale dell’uomo e della donna. Altra cosa era invece la famiglia intesa come l’insieme delle persone, sottoposte alla potestà di un medesimo pater.
Secondo Ulpiano per famiglia si intendeva: “Iure proprio familiam dicimus plures personas, quae sunt unius protestate aut natura aut jure subiectae” (Ulp. D. 50,16,195,2); vale a dire che: “si intendeva per famiglia, in senso naturale o in senso giuridico, più persone che erano soggette ad un’unica potestà”. Ulpiano voleva così sottolineare che non esistono nella famiglia una parentela fittizia o effettiva.
La soggezione al pater è dovuta in ogni caso sia per i figli naturali che per i figli adottivi. La famiglia arcaica è dunque intesa come un gruppo perpetuo tenuto insieme da uno strettissimo legame di solidarietà tra i suoi membri. La figura del singolo (ad es. un figlio) nella famiglia arcaica è del tutto insignificante rispetto alla comunità familiare. Il paterfamilias è la figura per eccellenza che assicura la solidarietà familiare e alla cui morte i figli rimarranno ancora in consortium, cioè in comunione universale di vita e anche di averi; pertanto il patrimonio familiare dovrà rimanere indiviso anche dopo la morte del pater familias.
Il concubinato, almeno nel diritto arcaico, di fatto, disconosce questa unione stabile extramatrimoniale dell’uomo con la donna (eccetto, come abbiamo visto, in alcuni casi).
Saranno proprio gli Imperatori cristiani a prenderlo in considerazione. E qui vorrei spezzare una lancia a favore del Cristianesimo che è stato sempre giudicato “antiquato” per il suo proibizionismo e oscurantismo e per il suo moralismo eccessivo.
Sarà infatti Costantino che, per evitare effetti sfavorevoli alla famiglia legittima, vieterà le donazioni alla concubina e ai figli avuti da lei.
Giustiniano, introduce in materia altri elementi. In sostanza egli equipara il concubinato al matrimonio vero e proprio; il concubinato può ormai definirsi come l’unione di un UOMO con una DONNA di ‘qualsiasi condizione’. Vediamo dunque perché Giustiniano introduce questa innovazione. Il diritto augusteo, precedente, ammetteva il concubinato, cioè le unioni extraconiugali da parte dei senatori e dei cittadini con donne abbiette o di bassa condizione, poiché con esse non era possibile, per legge, concludere il matrimonio. Erano invece considerate adulterium e quindi punite penalmente, tutte le relazioni extraconiugali con donne ingenuae et honestae, vale a dire le donne nate libere e di elevata condizione sociale.
La riforma quindi dell’Imperatore bizantino Giustiniano, non è da prendere, come si usa dire “sotto gamba”. Egli, come Imperatore cristiano, illuminato, cancella di fatto la preclusione di matrimonio di un patrizio con una donna di basso ceto sociale. E’ quindi, quella di Giustiniano una innovazione ‘progressista’ in favore delle donne, la cui considerazione nel diritto classico ed arcaico romano era pressoché nulla. Non solo, Giustiniano estende al concubinato i requisiti del matrimonio, vale a dire: la monogamia, l’età coniugale, l’assenza di relazioni di parentela o affinità. Ma non è tutto. Per la prima volta l’Imperatore cristiano riconosce alla donna, unita in concubinato,  il diritto di ereditare una considerevole quota parte dei beni che va da 1/24, in presenza di genitori e figli legittimi, fino a raggiungere la metà del patrimonio in assenza di questi.
Non poteva la legge degli Imperatori cristiani “innovatori” tralasciare di considerare i figli “naturali”, cioè i figli nati da una unioine non matrimoniale. La legittimazione è una specie di sanatoria introdotta da Anastasio, poi soppressa da Giustino e ripresa da Giustiniano, mediante la quale  veniva consentito di conseguire lo stato di figli legittimi ai figli naturali. Essa veniva ottenuta per subsequens matrimonium valeva a dire che il matrimonio contratto con la concubina regolava anche la condizione dei figli naturali.
Ulteriori diritti in fatto di eredità vengono riconosciuti da Teodosio II e Valentiniano III riguardo ai figli naturali. Essi, in taluni casi specifici, potevano ereditare anche tutto il patrimonio  in assenza di figli legittimi, ecc.

Paolo Campidori – paolo.campidori@tin.it

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