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MONTABONE (At). La vita prima dei Romani.

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Coltivavano la vite e la noce. Erano capaci di produrre piccola ceramica e utensili per il proprio uso, ma commerciavano con Milano, o meglio Mediolanum, e arrivavano ad acquistare e vendere merci con il porto di Savona, quindi con l’Oriente e l’Egitto. Allevavano, ma non disdegnavano la caccia anche come rito collettivo.
È la comunità pre romana che ha abitato a Montabone fra il 400 a.C. e il 100 d.C. Una scoperta archeologica eccezionale datata 2008 che a 12 anni dal ritrovamento continua a fornire informazioni. Ora la necropoli è stata «smantellata».
Tutti i reperti sono stati catalogati e i pezzi più interessanti sono in mostra al museo archeologico di Acqui Terme. Una mostra allestita già lo scorso anno anche se attualmente non visitabile a causa delle disposizioni ministeriali in materia di Coronavirus. Il contenuto dell’esposizione è anche raccontata nel libro a cura di Marica Venturino «Le ceneri degli Statielli» (De Ferrari editore) recentemente presentato in municipio ad Acqui Terme.
Tutto nasce da un metanodotto. La Snam Rete Gas stava scavando nell’Astigiano. Arrivata nel comune di Montabone, lungo il rio Bogliona, ecco la scoperta: «Terra nera da cremazioni e poi quelle pietre tonde che coprivano i sepolcri – racconta l’archeologa Marica Venturino – Abbiamo capito subito che questa scoperta avrebbe fatto scalpore nel mondo dell’archeologia». Questo non tanto per i reperti, ma per le tecniche usate per la loro analisi.
«Oggi sappiamo che gli abitanti di Montabone erano coltivatori – aggiunge l’archeologa – seminavano grano e farro e iniziavano a coltivare anche noci e castagne. Sul finire della loro civiltà, quando i Romani cominciarono ad affacciarsi su queste terre, si dedicarono anche alla viticoltura». Sono state rinvenute anche tracce di allevamento. «Polli, soprattutto – aggiunge Marica Venturino – Può sembrare un’informazione banale, ma per noi ha un gran valore. Come ritrovare coltelli fatti a mano con corno di cervo. Un patrimonio di informazioni mai depredato. Quelle tombe sono state chiuse prima della nascita di Cristo e mai più riaperte sino al 2008».
Questa scoperta è anche in grado di farci comprendere gli stili di vita. Tre famiglie, tre capostipiti, si erano insediati nella valle Bogliona. «Non certo un luogo marginale – aggiunge Marica Venturino – ma una valle di collegamenti importanti. Tra le comunità di Alba e Acqui. Tra le valli Belbo e Bormida».
Gli abitanti non vivevano solo di allevamento e agricoltura, ma commerciavano. Amavano il bello. Anzi lo ostentavano. «Abbiamo trovato perline con incisioni celtiche fatte con vetri di probabile provenienza dal sud del Mediterraneo».
Quella degli Statielli era una comunità vera e propria. Fatta di gerarchie e compiti. Lo dimostrano sia i tumuli,. sia tutto il materiale trovato al loro interno. I morti venivano cremati. Era la famiglia a preoccuparsi del rito, al quale partecipava tutta la comunità. In quel frangente si mostravano ricchezze e bellezza. Perline celtiche o vetri egizi. Coltelli con manici fatti in corno di cervo e fibbie ricercate.
Con l’arrivo dei Romani, a causa della loro organizzazione societaria e la necessita di manodopera, la comunità si disperse. Non è facile stabilire se furono obbligati a lasciare Montabone per vivere e lavorare ad Acqui Terme. «Sappiamo solo che gli Statielli combatterono contro i Romani e persero – prosegue Marica Venturino nel suo racconto – L’organizzazione Romana cancellò in parte quell’organizzazione societaria, ma la necropoli di Montabone ancora oggi, a 12 anni dalla scoperta, ci permette di approfondire il tema».
Alla chiusura della mostra acquese alcuni reperti resteranno esposti nel museo. A Montabone si vorrebbe ricreare la necropoli. Ricostruire con le pietre originali i tumuli. Per vedere i reperti più preziosi si farà riferimento al museo archeologico di Acqui. Per questo si cercano fondi: un comune da 300 abitanti come Montabone non ha la forza economica per realizzare il sito espositivo senza finanziamenti regionali, nazionali o europei.

Autore: Riccardo Coletti

Fonte: www.lastampa.it, 10 mar 2020

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