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MESSICO. Una data controversa per il popolamento delle Americhe.

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Gli archeologi che hanno condotto una serie di scavi in una grotta nelle montagne del Messico centrale hanno portato alla luce prove che esseri umani hanno occupato l’area più di 30.000 anni fa, suggerendo che il primo popolamento del Nord America è avvenuto almeno 15.000 anni prima di quanto si pensava.
Il ritrovamento, che riguarda centinaia di antichi utensili in pietra, è supportato da una nuova analisi statistica che integra dati provenienti da altri siti. Ma la conclusione ha suscitato polemiche tra alcuni ricercatori. “Di fronte a un’affermazione così drastica, devono esserci le prove necessarie per supportarla”, commenta l’archeologo Kurt Rademaker della State University a East Lansing.
I primi esseri umani giunti nelle Americhe provenivano dall’Asia orientale, ma si discute molto su quando abbiano iniziato ad arrivare. Alcuni ricercatori pensano che potrebbe essere stato già 130.000 anni fa, anche se la maggior parte delle prove archeologiche a sostegno di questa teoria è contestata; per esempio, alcuni dei manufatti in pietra sono così semplici che gli scettici sostengono che probabilmente sono stati prodotti da processi geologici naturali e non da esseri umani. L’opinione condivisa è che il popolamento delle Americhe sia iniziato circa 15.000 o 16.000 anni fa, sulla base delle prove genetiche e dei reperti trovati in diversi siti, tra cui quello di Monte Verde II, in Cile, risalente a 14.000 anni fa.
Le ultime scoperte, pubblicate il 22 luglio su “Nature”, mettono in discussione questo consenso. Un gruppo guidato da Ciprian Ardelean, dell’Università Autonoma di Zacatecas, in Messico, sta conducendo dal 2012 scavi nella grotta di Chiquihuite, situata a 2740 metri sul livello del mare, sui Monti Astillero. I ricercatori hanno scoperto quasi 2000 utensili in pietra, 239 dei quali erano inglobati in strati di ghiaia che una datazione al carbonio situa cronologicamente tra i 25.000 e i 32.000 anni fa.
Utensili più antichi sono talmente pochi che Ardelean pensa che il sito sia stato visitato solo occasionalmente, e che forse veniva usato come rifugio a intervalli di qualche decennio, durante inverni particolarmente rigidi. Al culmine dell’ultima era glaciale, 26.000 anni fa, il Nord America era un luogo pericoloso. “Ci devono essere state terribili tempeste, grandine, neve”, spiega. E aggiunge che la grotta di Chiquihuite è ben isolata e avrebbe potuto offrire un riparo agli esseri umani che si fossero trovati nella zona.
Il gruppo presenta buoni argomenti a favore di possibile occupazione umana antica, dice François Lanoë, archeologo e antropologo dell’Università dell’Arizona a Tucson. Ma aggiunge che i dati provenienti dalle grotte sono “notoriamente problematici” da interpretare. Gli utensili in pietra potrebbero essere stati spostati in strati più profondi dall’attività geologica o biologica – forse mossi da animali che scavavano tane – facendoli apparire più vecchi di quanto siano.
E dando per scontato che siano davvero utensili di pietra. “Se un artefatto è un utensile di pietra, si vedono numerose schegge rimosse dal bordo”, dice Rademaker, che non vede alcuna chiara prova di questo nelle immagini dell’articolo, sottolineando un punto rilevato anche dall’archeologo Ben Potter dell’Università di Liaocheng, in Cina.
Ardelean ammette che alcuni degli strumenti potrebbero essersi spostati in strati più profondi, ma sottolinea che i 239 strumenti più antichi giacciono sotto uno strato impenetrabile di fango formatosi durante l’Ultimo massimo glaciale, quindi devono essere almeno altrettanto antichi. E insiste che si tratta di utensili: secondo lui, alcuni segni suggeriscono che sono stati prodotti da principianti che imparavano da esperti. “In questo sito, qualcuno stava insegnando a qualcun altro”, afferma il ricercatore.
A parte gli utensili in pietra, il team ha trovato un numero relativamente esiguo di prove di presenza umana. I genetisti guidati da Eske Willerslev dell’Università di Copenaghen hanno cercato DNA umano antico nei detriti della grotta, ma senza fortuna. “Naturalmente sono rimasta deluso”, spiega Ardelean.
In un secondo studio, anch’esso pubblicato su “Nature”, due dei colleghi di Ardelean, gli archeologi Thomas Higham e Lorena Becerra-Valdivia dell’Università di Oxford, hanno combinato le prove della grotta Chiquihuite con i dati di altri 41 siti archeologici del Nord America e di una regione della Siberia orientale e dell’Alaska occidentale, la Beringia, e costruito un modello statistico dei primi insediamenti umani, concludendo che gli esseri umani erano presenti in tutto il Nord America molto prima della data condivisa di 15.000-16.000 anni fa.
Alcuni archeologi ritengono che sia giunto il momento di prendere sul serio queste idee. “Il numero crescente di prove sulla presenza di esseri umani in Beringia 15.000 anni fa rende meno sorprendente la loro comparsa in luoghi come il Messico di 20.000 o 30.000 anni fa”, dice John Hoffecker, archeologo dell’Università del Colorado a Boulder.
Altri invece non sono d’accordo. Collins sostiene che Becerra-Valdivia e Higham presuppongono che i siti arcaici come la grotta di Chiquihuite e le Bluefish Caves, nello Yukon, in Canada, dove i manufatti sono stati datati a 24.000 anni fa, offrono prove inequivocabili dell’attività umana. “Questo è lungi dall’essere vero”, dice.
Becerra-Valdivia accetta che le prove provenienti dalla maggior parte dei siti – a eccezione del sito di Monte Verde II – sono contestate, ma afferma che l’analisi ha volutamente omesso informazioni dai siti più controversi per rendere più forte la loro argomentazione.
Se davvero c’erano esseri umani in Nord America in un’epoca così antica, non è chiaro che cosa ne sia stato di loro. “Non ci sono ancora prove genetiche convincenti di una presenza umana nelle Americhe prima di 15.000 anni fa”, commenta il genetista David Reich, della Harvard Medical School di Boston, nel Massachusetts.
Ardelean sostiene che c’è una semplice ragione per cui gli studi genetici suggeriscono che gli esseri umani si siano diffusi nelle Americhe solo relativamente di recente: gruppi arcaici come quello che secondo lui era presente nella grotta di Chiquihuite non sono sopravvissuti tanto da contribuire ai corredi genetici moderni. “Sono decisamente a favore dell’idea dei cosiddetti gruppi perduti”, conclude il ricercatore.

(L’originale di questo articolo è stato pubblicato su “Nature” il 22 luglio 2020. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati).

Autore: Colin Barras

Fonte: www.lescienze.it, 28 lug 2020

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