Archivi

Mario Zaniboni. Fuente magna. Abbeveratoio per i porci.

zaniboni

Fuente Magna (noto pure come Vaso Fuente e Stele di Rosetta delle Americhe) è una ciotola massiccia in pietra o ceramica, molto grande, con figure antropomorfe e zoomorfe in rilievo all’esterno e incisioni all’interno, probabilmente usata per scopi rituali o cerimoniali o ancora durante riti sacrificali agli dei, che rappresenta uno dei ritrovamenti più importanti avvenuti nell’America meridionale e che è stato oggetto di discussioni e controversie che non hanno ancora vista la conclusione.
Fu trovato nel 1950 per caso da un contadino che stava lavorrando nei campi della famiglia Manjon nella tenuta di Chua, presso il Lago Titicaca, in Bolivia. Purtroppo, egli non era in grado di intendere l’importanza che tale manufatto potesse avere, tanto da usarlo come si trattasse di un comune contenitore. Questo fatto precluse agli studiosi la possibilità di approfondire i loro studi sul terreno in cui giaceva dalla notte dei tempi.
Si tratta di un oggetto prezioso dal punto di vista archelogico, che oggi è conservato nel Museo de los Metales Preciosos, sito a La Paz, nello stato sudamericano della Bolivia; qui restò per una quarantina di anni senza che nessuno gli prestasse la minima attenzione.
Non si sa come ne vennero a conoscenza gli studiosi, che ne rimasero profondamente incuriositi prima e interessati successivamente, a seguito delle incisioni che ne riempivano l’interno. Da un primo esame concordarono che si trattasse di un oggetto molto antico e poi, andando ad un esame più approfondito, notarono che lo scritto era in caratteri cuneiformi, con un’impressionante similitudine con quelli usati dai Sumeri; niente di strano, se non fosse che questi distavano dall’America Meridionale migliaia di chilometri.
Chi per primo tentò di interpretare di che cosa gli scritti parlassero fu l’archeologo boliviano Max Portugal Zamora che, secondo il suo parere, il vaso fu costruito non meno di 3000 anni prima di Cristo.
Nel museo restò per una quarantina di anni senza che nessuno gli prestasse la minima attenzione.
Dopodiché, fu preso in considerazione dai due ricercatori Bernardo Biados e Freddy Arce Heguero, che cercarono non solo di capirne la conoscenza, ma anche si recarono nella località dove era stato rinvenuto per avere qualche notizia in più; ebbene, qui incontrarono il novantaduenne Maximiliano il quale non solo riconobbe l’oggetto, ma dichiarò che a suo tempo era stato in suo possesso e l’aveva usato come “catino per maiali” (trogolo, diremmo oggi), giacché l’aveva destinato quale abbeveratoio a quelle bestie.
Fu poi l’esperto in iscrizioni antiche Clyde Ahmed Winters che si espresse in un modo che non lasciava dubbi. Lo scritto aveva caratteri simili a quelli di etnie afro-mediorientali: infatti, ritenne che le iscrizioni fossero molto somiglianti a quelle del sumero antico, del dravidico indiano, dell’elodita iraniano e del berbero libico di 5000 anni fa. E si torna a quanto appena accennato più sopra: sono lingue tutte africane e asiatiche. Lo scritto del Vaso Fuente rimandava, pertanto, a popoli situati su territori quasi opposti sulla superficie della Terra.
In ogni modo, Winters riuscì nel suo intento di decifrare lo scritto dell’interno del vaso, concludendo, fra l’altro, che ai suoi tempi era usato per fare offerte alla dea Nia, protettrice della purezza, della gioia, del carattere.
Qualcuno lo ha definito la “Stele di Rosetta delle Americhe” per attirare l’attenzione sul fatto che le sue iscrizioni, stilate in una scrittura che richiama il sumero antico, denuncerebbero un contatto avvenuto nell’antichità fra i Sumeri e i Boliviani, anche se la storiografia è del parere che ciò non possa essere mai avvenuto. Del resto è un’ipotesi che non ha prove a suo favore, però è dimostrato che la popolazione sumerica aveva abili navigatori; l’unico dubbio che potrebbe restare, eventualmente, riguarda la capacità o meno delle sue imbarcazioni, adeguate alla navigazione nelle acque interne, di affrontare quelle tempestose dell’Oceano Atlantico.
D’altra parte, il ricercatore Yuri Leveratto che, fra l’altro, si è interessato a questo lato della vicenda, non ha potuto evitare di commentare i suoi dubbi ponendosi il seguente questito: “Come è possibile che un’iscrizione in proto sumero si trovi su un recipiente trovato vicino al lago Titicaca, a 3.800 metri sul livello del mare, migliaia di chilometri distante da dove i Sumeri sono vissuti?”
Il già ricordato ricercatore Bernardo Biados era del parere che i Sumeri, che avevano navigato fino all’Africa Meridionale, potrebbero aver raggiunta la Bolivia attorno al 2500 a.C., attraversando l’oceano, come se fosse la stessa cosa veleggiare lungo le coste e superare lo stesso.
Ci sono altre ipotesi, fa cui quella di un intervento di alieni. E’ ciò che ha supposto lo scrittore statunitense di origine azera Zecharia Sitchin.
Il dubbio c’era e rimane tuttora, per cui, a meno non capiti di reperire qualche elemento chiarificatore, Fuente Magna resta un OOPArt che tiene dentro di sé la sua vera entità e la sua ragione di essere.

Autore: Mario Zaniboni – m.zaniboni@virgilio.it

Segnala la tua notizia