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Mario Zaniboni. Elmo di Coțofenești.

elmo

Era l’anno 1929, quando un bambino, che si chiamava Traian Simion, nella località chiamataVârful Fundăturii (Vertice della Fondazione) sita nel territorio del villaggio Poiana Coțofenești nella contea rumena di Prahova, trovò assolutamente per caso un oggetto che fece scalpore. Non vi erano dubbi: si trattava di un elmo metallico, di colore giallo e molto pesante. Era pressoché integro, mancando solo la calotta cranica o zuccotto, se si preferisce così chiamare la parte andata perduta.
Non si sa come, ma successivamente l’elmo capitò nelle mani di Ioan Andrieșescu, professore di Preistoria dell’Università di Bucarest, che lo studiò molto attentamente insieme con colleghi, e purtroppo, non essendo stato trovato in una tomba o in un deposito con tanti altri oggetti, elementi che avrebbero consentito di approfondirne meglio la conoscenza, ci si dovette accontentare di fare ipotesi su origine e provenienza.
Il gruppo di studiosi visitò il luogo del ritrovamento e lo studiò, stabilendo che l’elmo era stato trovato insieme a frammenti di ceramica di Hallstatt, piccola città vicina all’austriaca Salisburgo, e che, pertanto, l’elmo non aveva niente in comune con loro e che fu abbandonato dove capitò, non si sa da chi, né come e nemmeno perché. In ogni modo, gli studiosi non ebbero difficoltà a stabilire che il reperto facesse parte della cultura della popolazione del raggruppamento geto-dacio “La Tène”, una località della Svizzera, sita nei pressi del lago di Neuchâtel, divenuta famosa per il ritrovamento di una grande quantità di oggetti – si parla di migliaia – fra scudi, spade, attrezzi vari, parti di carri e altro ancora, fra cui ossa umane e di animali. E’ certo, comunque, che essendo un oggetto costruito con materiale prezioso, apparteneva a un personaggio di alto lignaggio o a un sovrano, di cui non si sa nulla.
Si può ammirare l’elmo, alto 24,2 centimetri, nel Museo Nazionale di Storia della Romania; al suo valore strettamente storico, essendo stato datato fra l’ultima parte del V secolo e la prima parte del IV secolo a.C., si aggiunge quello del materiale costitutivo, essendo d’oro a 20 carati, cioè formato da 833 parti di oro su 1.000; e ciò che resta è in perfette condizioni. L’elmo è La parte che copre la nuca; è istoriata con figure ottenute a sbalzo, sicuramente facenti parte della mitologia di quel popolo, ma per noi di difficile interpretazione e comprensione. Nella parte alta ci sono esseri di natura indefinibile, seduti e muniti di coda, mentre in quella bassa digrignano i denti bestie feroci, altrettanto indefinibili. Molto chiaro, invece, è il significato di quanto è riportato nelle guance dell’elmo, sempre battuto a sbalzo, dove in entrambe si mostra l’attimo in cui un uomo, brandendo un corto coltello, sta per immergerlo nella gola di una pecora destinata al sacrificio. La parte alta è decorata da borchie a forma di mezza sfera e presumibilmente la stessa decorazione continuava nella parte mancante. A ornamentare le varie figure sono segni e simboli specifici di quella cultura. Ciò che ha interessato maggiormente gli studiosi che l’hanno avuto fra le mani, riguarda gli occhi, sotto strane sopracciglia, perché hanno uno sguardo – così è stato interpretato – che sembra voler tener lontano ogni forma di magia, incantesimo, malaugurio; insomma, un vade retro contro tutto quanto di misterioso e di pericoloso può circondarlo.
Ora, è sotto gli occhi dei visitatori del museo in cui è stato accolto come illustre ospite e il suo sguardo con cui li accoglie sembra dire che, sì, vuol esprimere la sua avversione contro tutto quanto di negativo lo circonda, ma si riferisce a quanto avveniva più di duemila anni fa, per cui essi possono ammirarlo con tutta tranquillità e serenità senza il pericolo di cattive influenze da parte di forze occulte.

Autore: Mario Zaniboni – zamar.22blu@libero.it

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