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Giuliano CONFALONIERI, Memorie del sottosuolo.

Andrè Gide scrisse nel 1914 ‘I sotterranei del Vaticano’, Fèdor Dovstojevski ‘Memorie del sottosuolo’ nel 1864. Sono titoli che suggeriscono – al di là delle tematiche letterarie – un mondo segreto sotto le nostre moderne strade asfaltate poiché l’Italia ha un complesso di cunicoli e cloache antiche visitate oggi quasi solamente dagli speleologi alla ricerca di spunti storici. Roma, Napoli, Milano, Torino, Genova ed altre importanti città nascondono i residui del passato, strato dopo strato, fino all’ultimo spregio dei grattacieli.
Roma possiede un reticolo unico al mondo come le catacombe, Palermo ha un sistema coperto costruito dagli arabi per combattere l’afa mediterranea, Torino con le sue gallerie misteriose – usate perfino da carrozze e militari a cavallo – preziose durante la seconda guerra mondiale per ripararsi dai famigerati bombardamenti ‘a tappeto’. Ambienti bui e silenti, umidi e patria di animali abituati alla mancanza della luce solare. Anche Napoli ha usato il sottosuolo per ripararsi dalle bombe:  forato da chilometri di cunicoli intersecati, è riuscito a salvare tanta gente, cisterne, pozzi e grotte interrate dove la geologia impera.
Viviamo nelle nostre città senza renderci conto che – sotto – hanno vissuto gli antenati in ambienti talvolta amplissimi come la spianata coperta torinese di migliaia di metri quadrati. Le cavità naturali sono servite a fare convivere generazioni dimenticate e l’esplorazione di queste aree sono spesso mete turistiche guidate. Gli strati archeologici si susseguono presentando novità ad ogni svolta; gli studiosi hanno a disposizione un vasto campionario di reperti con i quali andare alla ricerca del passato; il frastuono del traffico e la costante preoccupazione per la sopravvivenza urbana offuscano le vestigia, fortunatamente protette a differenza dei monumenti all’aperto attaccati dai graffitari, dall’inquinamento e dalla noncuranza dei cittadini e delle istituzioni.
Già nel XVIII secolo l’aristocrazia palermitana si rifugiava sottoterra con scale intagliate nella pietra – spazi predisposti con le comodità a disposizione in quel periodo – per proteggersi dal caldo dello scirocco proveniente dai deserti africani. Tramite canali veniva convogliata l’acqua sorgiva e la frescura si accentuava con pozzi di aerazione, esperienze nate probabilmente dall’attività dirompente dei vulcani.  
Napoli – l’antica Neapolis del V sec. a.C. – ha usato gli spazi coperti per immagazzinare acqua e cibarie, per inumare le salme come nelle catacombe. Le opere idrauliche realizzate dalla civiltà romana sono ancora oggi oggetto di ammirazione per la genialità degli ingegneri tanto che alcuni acquedotti funzionano tuttora, dopo avere rifornito le terme a quel tempo molto diffuse.
La geologia conosce bene le stratificazioni, testimonianze dei sedimenti rocciosi con varia inclinazione tra loro; frequenti nei depositi eolici (dune) e nei fiumi in dipendenza della direzione variabile del vento e delle dimensioni con interposizione di residui vegetali. La mano dell’uomo ha poi supplito alla natura apportando – civiltà dopo civiltà – formidabili modificazioni ambientali, non più di interesse geologico ma piuttosto archeologico. 

Autore: giuliano.confalonieri@alice.it 
      

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