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Giuliano CONFALONIERI. ArcheoLiguria – V parte.

La preghiera ed i ‘fioretti’ (nei tempi antichi confusi con esorcismi e pratiche magiche) erano gli antidoti che sostituivano la mancanza dei mezzi di soccorso e di una medicina efficace per chi si trovava in situazioni di pericolo o gravemente ammalato: la virulenta epidemia di peste che causò la morte di un quarto della popolazione europea fu innescata probabilmente dalle precarie condizioni igieniche perché il bagno era considerato occasione di peccato, dalla mancanza di profilassi adeguata, dai cibi avariati per l’assenza di tecniche conservative appropriate, dai topi ed infezioni ricorrenti; l’ambiente ideale per la diffusione nei vari strati sociali del rachitismo infantile e tubercolosi, cecità e cancrene. Gli ex-voto ‘per grazia ricevuta’ tappezzano le pareti di molti Santuari, da Lourdes a Cascia, da Assisi ad Oropa: quadri, stampelle, riproduzioni di cuori umani e suppliche sono i muti testimoni di speranze gonfie di fede convertite in ‘miracoli’.
Non è difficile immaginare una sera invernale negli ambienti umidi e gelidi delle casupole e dei palazzi patrizi del Medioevo: l’odore resinoso delle fiaccole, il fumo tossico dei bracieri, le litanie ed il suono delle campane del vespro e di compieta, i ceppi nei camini, i guitti ed i musici, giullari dalla vita stentata. I burattini, simbolo povero di uno spettacolo popolare, facevano le loro apparizioni: ne parlano le cronache per il loro uso nelle chiese in sacre rappresentazioni o nelle corti per intrattenimento.
I buffoni, spesso nani o deformi, rallegravano i signori feudali e rinascimentali con lazzi e pantomime assumendo talvolta la carica in modo ufficiale e diventando favoriti come usava nella cortigianeria del tempo. I latrati dei numerosi cani randagi, i malati abbandonati sui giacigli con visite saltuarie di cerusici o praticanti stregoni, le dispense con cibo spesso rancido, i nitriti nervosi dei cavalli da sella ritornati sudati dalla caccia o da qualche ‘singolar tenzone’. Residui di feci ed urina negli angoli delle case, animali da cortile e stalle olezzanti di strame, donne incinte (l’alta mortalità infantile richiedeva il sacrificio di gravidanze continue) e pulzelle obbligate a sposarsi giovanissime, streghe o Bàsue che preparavano pozioni e intrugli per ogni tipo di ‘fattura’: “si estirpino le streghe che hanno maledetto le nostre terre e le nostre bestie”.
Nella Val Maremola – sopra Pietra Ligure nel savonese – la tradizione riporta racconti di ‘sabba’ sia sul Monte Trabocchetto che a Jus Tenens (Giustenice) e Tuvum Finarii (Tovo San Giacomo): “Le Bàsue di cui molte, narra la leggenda, scendevano dalla Val Maremola, dopo essersi sparse i capelli di cenere umana e spalmato il corpo con intrugli di grasso macilento di lupo, feti di capra e di corvi, svolazzavano su esili canne strappate dal sottostante torrente Maremola, mentre litanie blasfeme rimbalzavano sulle ciclopiche rocce stagliantesi a mo’ di castelli irti di guglie e torrioni…” Era costume bollare con scomuniche ed emarginazione chi praticava incantesimi o pratiche magiche, in buona compagnia con sodomiti, folli e con gli ‘scavalca montagne’ ossia gli attori girovaghi tacciati di espressioni demoniache. Nell’Inghilterra di Edoardo VI gli spettacoli di illusionismo erano molto graditi al pubblico ma le autorità consideravano i guitti come malfattori e spesso li marchiavano a fuoco con una ‘V’, iniziale di ‘vagabond’.
Molto noti sono i processi documentati nei confronti di donne ritenute colpevoli di stregoneria sia nella Valle Argentina (Triora) che in Val Bormida (Spigno): “Esse si recarono più volte a trastullarsi e a tripudiare col diavolo in certi e prestabiliti luoghi ed ivi danzarono coi demoni, adorarono lo stesso diavolo e Satana e si prestarono, come confessano, ad altre azioni che sogliono svolgersi in tali circostanze. Inoltre cavalcarono diavoli trasformati in bestie caprine volanti nell’aria ed entrarono in casa di altri a porte e finestre chiuse, aperte però dal diavolo; si trasformarono pure in bestie e uccisero alcuni bambini…” (‘Donne, diavoli e streghe’ nella biblioteca di Padre Aprosio).
Alla fine del Seicento si scatenò in quelle zone una furibonda isterica caccia collettiva che costò tremende sofferenze alle donne sottoposte in modo sistematico alla tortura ed al rogo. Il ‘diverso’, in un periodo influenzato dalla superstizione e dal mistero, era visto come un pericolo e quindi circondato dal ghetto della paura e del rigetto. Gli abiti costituivano una netta suddivisione tra le varie classi sociali, quelle ‘normali’ e quelle emarginate, come le prostitute; nel 1215 gli ebrei furono obbligati a farsi riconoscere in pubblico con il panno giallo, riproposto con sciagurata puntualità nei secoli successivi. Scongiuri, sortilegi e pratiche magiche per evocare lo sconosciuto e mutare gli eventi naturali: stregoni e sciamani con le loro supposte capacità divinatorie hanno costituito fin dall’antichità un intrico di ritualità oscure, spesso intrecciate con il filone religioso.
Le profezie del medico ed astrologo francese Nostradamus (1503/1566) sono state analizzate e confrontate con gli avvenimenti postumi. L’occultista Cagliostro esercitò l’alchimia, il matematico Cardano mescolò medicina e filosofia con la magia, Bacone identificava negli idoli gli errori ed i pregiudizi che falsano la visione della realtà. Fate e streghe, maghi e gnomi, folletti e fattucchiere, fanno parte di riti profondamente radicati nei ceti sociali: il vaticinio o profezia; l’aruspicina, predizione mediante l’esame delle viscere della vittima; la cabala, interpretazione di lettere, numeri e figure; l’auspicio, rito dei Romani per conoscere l’esito delle imprese con l’esame del volo degli uccelli; l’iniziazione, per accogliere i neofiti in culti esoterici.

Autore: Giuliano.confalonieri@alice.it

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