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CIVIDALE DEL FRIULI (Ud). Nel cuore della città ducale: ecco le capanne longobarde.

Sotto il reticolo, fittissimo, delle strutture post medievali e – piú in profondità, naturalmente – medievali che attestano il passato remoto dell’impianto edilizio del monastero cividalese di Santa Maria in Valle, la sorpresa: all’interno del perimetro dell’ex convento delle suore Orsoline, nell’ala di immobile che si sviluppa lungo via Monastero Maggiore, il team di esperti impegnato nella campagna di scavo in corso ormai da mesi nel sito, ha identificato i resti di alcune capanne lignee longobarde.
La scoperta, inattesa – e conseguentemente entusiasmante, per gli addetti ai lavori -, è di fondamentale importanza, nel processo di ricostruzione dell’assetto dell’abitato antico: «Ci ha permesso, infatti – motiva l’archeologo Luca Villa, responsabile della delicata indagine nel sottosuolo -, di focalizzare la quotidianità dei longobardi nel suo luogo “naturale”, la casa. A differenza – puntualizza – di quanto ordinariamente avviene». Perché, si sa, la maggior parte dei reperti che raccontano la vita della popolazione cui Cividale lega indissolubilmente il proprio nome proviene da contesti funerari.
«Usualmente – ribadisce Villa – i reperti affiorano dalle sepolture. Non dagli spazi della vita di ogni giorno, del quotidiano appunto. In questo sta il valore del rinvenimento: le tracce delle capanne, che erano fatte di legno e delle quali abbiamo distintamente identificato i piani d’uso, ci consentono di ricostruire un tessuto urbano che, finora, difettava di testimonianze. Abbiamo trovato focolari e materiali di uso ordinario, tra cui un frammento di tipica ceramica stampigliata: oggetti del genere, ripeto, nella norma emergono solo dalle tombe».
È l’ultimo regalo del monastero, dunque. Regalo che corona un’azione di ricerca lunga, ma estremamente fruttuosa, costellata di tappe importanti: menzione d’onore spetta al ritrovamento “principe”, lo splendido, possente muraglione romano che ha convalidato la teoria di chi ipotizzava che la Cividale delle origini si spingesse fino a Borgo Brossana.
L’imponente manufatto si celava sotto gli ambienti settecenteschi che si articolano nella sezione orientale del chiostro, fra il tempietto longobardo e porta Brossana, cioè: largo due metri e mezzo, si innalzava verosimilmente per almeno dieci e proseguiva fino al dirupo sul Natisone.
Il tempietto longobardo poggia su di esso. Data di morte, diciamo cosí, della cinta, il Settecento: a quell’epoca risale infatti il piano di ampliamento del complesso monastico, che impose il sacrificio della barriera difensiva. Ma gli scavi hanno riportato alla luce un’infinità di altri elementi: all’esterno della muraglia romana, in direzione del cortile piú nuovo di Santa Maria in Valle, sono state rintracciate numerose strutture, riconducibili all’epoca rinascimentale e addossate alla fortificazione; sembrano posizionate parallelamente a un edificio che certamente era palazzo di pregio, come attestano residui di affreschi e d’intonaco.
La costruzione, cosí come quelle contigue, si affacciava su un cortiletto dal pavimento in acciottolato, area attraversata da canalette per lo scolo delle acque. È stata identificata pure una soglia, con parte di una scala. E ancora: dal settore attiguo al tempietto sono spuntate una pavimentazione in cocciopesto e una porzione di strada, un lastricato che conduceva, con alta probabilità, a un varco nel muraglione romano. Il sottoportico, poi, ha restituito un focolare.
Ma pure l’altro braccio del monastero, quello che ha rivelato le capanne longobarde, è risultato autentica miniera. Di rimanenze murarie come di “oggettistica” (moltissime le ceramiche raccolte, riconducibili alla cucina del convento) e di materiali vari. Un esempio per tutti? Cumuli di gusci di vongole. Le suore dei tempi che furono le adoravano.

Autore: Lucia Aviani

Fonte: Messaggero Veneto, 29 mag 2016

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