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CHICAGO (U.S.A.). Nuovo modello statistico retrodata l’evoluzione umana a 8 milioni di anni.

Un nuovo modello statistico suggerisce che la divergenza evolutiva dell’uomo dalla scimpanzé avvenne probabilmente 8 milioni di anni fa, invece che i 5 milioni stimati dalla maggioranza degli studiosi.
La stima così revisionata del momento in cui la specie umana si staccò dal ramo dei suoi più stretti “parenti” Primati potrebbe fornire ai ricercatori una migliore interpretazione della nostra storia evolutiva, come afferma il dr. Robert D. Martin, curatore della sezione di antropologia biologica al Field Museum di Chicago e co-autore del nuovo studio apparso sulla rivista Systematic Biology.
Lavorando in sinergia con matematici, antropologi e biologi molecolari, Martin ha cercato di integrare i dati evolutivi derivanti dal materiale genetico in diverse specie con le evidenze fossili, per ottenere un quadro più completo.
Martin sostiene che comparando il DNA di specie animali fra loro “imparentate” si può fornire una chiara immagine di come i loro geni condivisi si sono evoluti nel tempo, facendo sorgere nuove e separate specie. Ma una simile informazione a livello molecolare non fornisce una rappresentazione del momento in cui è avvenuta la divergenza genetica.
Le prove fossili sono l’unica fonte diretta di informazioni riguardo specie estinte da tempo e la loro evoluzione, ma grosse lacune nel record fossile possono rendere queste informazioni difficili da interpretare.
Per una generazione, i paleontologi hanno elaborato una stima per le origini umane tra i 5 e i 6 milioni di anni fa. Ma questa stima si appoggia su una esigua dotazione fossile.
Studiando le attuali specie di Primati, tutte le specie di Primati fossili conosciute, e utilizzando prove genetiche, i modelli al computer suggeriscono un quadro temporale più lungo. Le nuove analisi descritte nella ricerca su Systematic Biology tengono conto delle lacune nel record fossile e le colmano tramite la statistica.
Secondo Martin, simili tecniche, che sono largamente usate nelle scienze e nel commercio, tengono in considerazione più informazioni rispetto ai precedenti metodi usati per valutare la storia evolutiva in base solo a pochi reperti fossili. Questi modelli possono fornire ai ricercatori una più ampia prospettiva per interpretare i dati.
Un esempio è il cranio fossile scoperto in Ciad (Africa centrale) pochi anni fa. Il fossile è stato nominato Sahelanthropus tchadensis e soprannominato Toumai (che in lingua Goran significa “speranza di vita”).
Il fossile ha suscitato grande interesse perché mostra molte caratteristiche umane. Ma non c’è un consenso unanime su come classificare questa scoperta, soprattutto perché il fossile ha 7 milioni di anni, cioè è di molto antecedente alla data generalmente accettata per la divergenza della linea evolutiva umana.
Martin sostiene che con la nuova stima, Toumai cadrebbe all’interno del periodo successivo alla divergenza della linea umana da quella degli scimpanzé.
Il nuovo approccio alla datazione della storia evolutiva è stato in realtà costruito da tempo da Martin e colleghi.
Nel 2002 essi pubblicarono una ricerca su Nature secondo la quale l’ultimo antenato comune dei Primati attuali visse circa 85 milioni di anni fa.
Questo implicherebbe che per 20 milioni di anni prima della scomparsa dei dinosauri, vissero e si evolvettero anche le prime forme primati. Ciò sfida la teoria comunemente accettata secondo cui i Primati e altri mammiferi non prosperarono realmente sul pianeta fino alla scomparsa dei dinosauri.
Dopo la pubblicazione di quella ricerca, Martin si aspettava che qualcuno avrebbe provato ad applicare le nuove tecniche statistiche alla questione dell’evoluzione umana, ma quando ciò non avvenne “Decidemmo di farlo da noi”.

Fonte: Eurekalert, 06/11/2010

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