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BRINDISI. Rinasce il Museo archeologico provinciale.

Paragone molto diseducativo, ma rende l’idea: il nuovo Museo archeo­logico provinciale di Brindisi è una sigaretta da fumare con molta calma, e sino a scottasi le dita. E poi bisogna tornarci, e tornarci ancora con spirito di scoperta.
Puoi provare a decifrare il fascino della piccola statua fittile di età ellenistica che è stata scelta dai curatori con la società Mirabilia come simbolo di questa nuova stagione del «Francesco Ribezzo », costata due anni di la­ori, confronti sul campo anche molto duri, e 3,4 milioni di euro in tutto investiti da questa amministrazione provinciale, spiegano il presidente Michele Errico e l’assessore Giampiero Rollo.
E’ una Venere che sorge dalle acque, tra le valve di una conchiglia. Ora il museo ha due piani in più, il primo e il secondo. Tutto è ordinato secondo una logica innovativa, multilingue, dall’impatto fortemente didattico – perché non è un luogo solo per studiosi – e con una quantità sorprendente di collezioni.

C’è un grande giardino tra antichi palazzi, c’è il tratto della riconoscenza ai due past director che hanno dato tanto all’archeologia brindisina, Gabriele Marzano e Benita Sciarra Bardaro, all’uno con la dedica della Sezione Antiquaria, all’altra con quella dell’Archeologia subacquea. Qui i brindisini possono stupirsi ed emozionarsi, perché ci sono tutta la loro storia e molte cose mai viste. Qui i forestieri possono com­prendere realmente un territorio.
Ruggero Martines, direttore regionale dei Beni Culturali, corre via verso un altro convegno che parla pure di archeologia, («Brindisi sopra e sotto» organizzato dal Comune parallelamente) ma dopo aver ricordato al pubblico di soli giornalisti – l’inaugurazione ufficiale è per domenica alle 17,30 – l’intuizione di Giuseppe Fiorelli, pugliese, a 27 anni direttore generale dei Beni culturali dell’Italia appena unificata, che affidò al tedesco Teodoro Mommsen la creazione in Campania dei primi tre musei provinciali, «perché voleva una rete identitaria e diffusa».

Una gente, un museo. Oggi l’Italia ne ha 3800, e 4700 scavi. La sala Marzano è al piano terra, con le sue collezioni di ceramiche attiche, italiche, Un gioiello messapiche, fibule, ampolle, utensili di età comprese tra il VII ed il III secolo avanti Cristo. Al primo piano ci sono la sezione per la preistoria, e quella per la civiltà messapica, con materiale proveniente da vari siti della provincia. Tutto è illustrato perfettamente dalla pannellatura­guida lungo le pareti, con la descrizioni storiche, topografiche e antropologiche.
Al secondo piano c’è la città: la Brindisi dell’area del porto, dei magazzini e delle ville, dai mosaici agli oggetti domestici, dalle iscrizioni commerciali a quella di un poeta che si era trovato tanto bene da invitare tutti a risiedere in quel luogo (suggerimento: da mandare a Lonely Planet).

E poi la Brindisi della grande necropoli di via Cappuccini e delle storie personali narrate dai corredi funerari, e la Brindisi dei commerci marittimi nella sala dell’archeologia subacquea: sorprendente, con la riproduzione in scala 1/1 della sezione di prua di una nave oneraria con il suo carico di anfore autentiche sotto­coperta; e con il grande acquario con le colonie di anemoni, molluschi e pesci, che riproduce il sito di un relitto.
L’ha voluto il soprintendente Giuseppe Andreassi, ha detto la direttrice Angela Marinazzo, ieri anche guida dopo lunghi mesi di lavoro con gli ingegneri e i geometri dell’ufficio tecnico della Provincia. Di più non si poteva fare.


Fonte: Corriere della Sera 17/04/2009
Autore: Marcello Orlandini

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