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ALBENGA (Sv). La nave romana è ancora in attesa del recupero.

Dietro al Museo Navale Romano di Albenga c’è una storia avvincente: è nato come conseguenza del ritrovamento, nel mare di fronte alla città, di una nave del primo secolo avanti Cristo avvenuto in modo avventuroso. Già nel 1925 un pescatore aveva rinvenuto nelle reti tre anfore, che erano state portate in municipio.
Negli anni successivi vari frammenti avevano alimentato la convinzione che in quel punto del mare, non lontano dall’isola Gallinara, valesse la pena cercare con sistematicità. Per Nino Lamboglia, archeologo e appassionato studioso di storia ligure, era un chiodo fisso. Ma come fare?

In quegli anni erano diventati famosi in tutto il mondo Giovanni Quaglia e il suo “Artiglio”, una nave attrezzata per recuperi subacquei con la quale, tra l’altro, era stato recuperato il tesoro dell’«Egipt», un transatlantico affondato al largo di Brest con una gran quantità di sterline e lingotti d’oro. Quaglia era originario di Diano Castello, poco lontano da Alberga, e Lamboglia gli chiese di aiutarlo; il cercatore di tesori promise di fare qualcosa.
Nell’inverno del ’50 l’Artiglio da Marsiglia doveva trasferirsi a Genova per fare carena e il suo proprietario accettò di fermarsi “per un paio di giorni” e di far scendere un palombaro. Quello che, dal suo scafandro, l’uomo comunicò a bordo della nave convinse Quaglia a prolungare la sosta: 13 giorni, dall’8 al 21 febbraio, durante i quali furono portate a terra in modo avventuroso 728 anfore integre o poco danneggiate oltre a una gran quantità di frammenti.

Quella di Alberga fu la prima operazione di questo genere mai tentata: tutto, strumenti e tecniche, dovette essere inventato al momento, e segnò la nascita di una nuova disciplina scientifica, l’archeologia subacquea. Il materiale recuperato fu portato nelle sale del consiglio comunale, dove rimase per oltre dieci anni, e infine trasferito nelle splendide sale del medioevale palazzo Peloso Cepolla, proprio di fronte alla imponente cattedrale. Oltre a una parte delle anfore vi si possono vedere esemplari di ceramica a vernice nera tipica della Campania, frammenti di alcuni elmi, le suppellettili usate dall’equipaggio, addirittura un pugno di nocciole di 2000 anni fa che i marinai non fecero in tempo a mangiare; quanto basta per dare un’idea di come si viveva su una grande nave da trasporto, dei commerci del tempo, della tecnologia marinara. La nave era lunga almeno 40 metri, conteneva circa 10 mila anfore e trasportava vino dalla Campania verso la Gallia.

Sulla base dell’esperienza della nave romana si costituì ad Alberga il Centro Sperimentale di Archeologia Sottomarina che, nonostante le morte in mare del professor Lamboglia, ha svolto numerose ricerca in tutti i mari italiani; nel ’75 nel golfo di Diano è stata individuata un’altra nave più piccola (20-22 metri) affondata 150 anni dopo quella di Albenga; proveniva dalla Spagna e anch’essa trasportava vino; era una “nave cisterna”: oltre alle anfore nella sua stiva erano sistemati in modo permanente 14 grandi “dolia” da oltre 3000 litri, alcuni dei quali sono esposti al museo di Albenga.

La grande nave di Albenga giace semisommersa dalla sabbia sul suo fondale di 42 metri a meno di due chilometri dalla costa, coricata su un fianco; aspetta altri coraggiosi come Lamboglia e Quaglia che decidano di recuperarla.

Info:
Museo Navale Romano – Palazzo Peloso Cepolla – P.zza S. Michele, 12 – Albenga (SV)
Orario: aperto tutti i giorni escluso il lunedì
orario estivo (15 giugno-15 settembre) 9,30-12,30 e 15,30-19,30; invernale 10-12,30-14,30-18
Ingresso: 3 euro, gruppi 2 euro, ragazzi 1 euro.
tel. 0182-51215 


Fonte: La Stampa – Tuttoscienze 17/08/2005
Autore: Vittorio Ravizza
Cronologia: Arch. Romana

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