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U.S.A.: Malibù, la vergogna dei Getty nel santuario dell’arte rubata.

Per il Los Angeles Times un’indagine interna conferma le accuse di carabinieri e magistratura: dall’Italia un flusso enorme di oggetti trafugati. Nel museo decine di opere trafugate: “E i dirigenti sapevano “.

Nella finta “Roma sul Pacifico” che J. Paul Getty si fece costruire a Malibu sul modello della Villa dei Papiri di Ercolano, sono conservati, se hanno ragione i Carabinieri italiani, la magistratura, il Los Angeles Times egli avvocati che hanno condotto inchieste interne, tesori veri, ma illegalmente sottratti all’Italia.

Nel Getty Museum delle antichità classiche, lascito e orgoglio della Fondazione creata dal signore del petrolio insieme con lo stupendo Museo d’arte costruito da Richard Meier sulle colline di Santa Monica, la metà della sua collezione greca, etrusca e romana sarebbe stata acquisita da tombaroli e ricettatori internazionali.

Nella storia dell’arte, e del commercio delle opere d’arte, la purezza virginale e la trasparenza di committenti, mercanti e collezionisti è tra le opere più rare. Ben pochi sono i grandi musei e le grandi collezioni che potrebbero uscire assolutamente indenni da un esame al dna di ogni dipinto, artefatto, objet d’art, urna funeraria o figurina esposta, dopo secoli di saccheggi, furti, razzie a mano armata e incerte certificazioni. Ma lo “scandalo Getty”, esploso attraverso le indagini delle autorità italiane, denunciato da alcuni dei suoi stessi dirigenti e ora confermato dall’inchiesta interna ordinata dai curatori, va ben oltre le chiazze d’ombra che macchiano il commercio dell’arte.

C’è un intero magazzino di duemila oggetti preziosi, statue, vasi, urne, in Svizzera, acquistato dal Getty e ancora incrostato dalla terra dalla quale è stato scavato abusivamente che ha scandalizzato gli investigatori interni del museo. 54 dei 104 pezzi esposti e considerati “capolavori” sono stati indicati come acquisiti illegalmente.

Sono almeno 20 anni, da quando Getty destinò la propria stravagante e tipicamente americana “riproduzione autentica” di una villa romana alla conservazione di opere della classicità, che fra i suoi stessi responsabili serpeggiava il dubbio che la politica di acquisizioni fosse, per dirla eufemisticamente, “troppo aggressiva e spregiudicata”. E che il vecchio Getty, morto nel 1976, come poi i curatori della sua eredità, si affidassero a mercanti italiani come Giacomo Medici o internazionali come Marion True, Rober Hecht, Robin Symes destinati a sgradevoli incontri con la giustizia.

Medici, condannato lo scorso anno in Italia a dieci anni di carcere in prima istanza, è a piede libro in attesa di appello. In uno scambio di lettere interne fra il Presidente del Getty, Harlod Williams, e John Walsh, il direttore, uno dei massimi fornitori d’arte, Robin Symes, era stato indicato già nel 1987 come un “ricettatore”.

Ma l’urgenza di fare grande la collezione, di riempire di pezzi straordinari i due musei e quella villa che ora è in restauro e sarà riaperta l’anno prossimo, con 700 milioni di dollari lasciati da Getty e senza un centesimo pubblico, fu più forte dei dubbi sulla provenienza illegale di opere che non possono essere esportate né vendute senza il nulla osta delle autorità. Opere in gran parte saccheggiate da quel forziere all’aria aperta che è l’Italia.

Nel 1993, fu acquistata un’urna funeraria d’oro, proveniente da una tomba etrusca, che l’Interpol, grazie alla polizia italiana, aveva segnalato a tutti come «di origine illecita». Uno stupendo Apollo di marmo, oggi nel magazzino svizzero di proprietà del museo, è un’altra opera indicata come “illecita” cioè abusivamente rubata perché di questo si tratta fuor di eufemismo, all’Italia. Un bacile greco dipinto con scene dell’Iliade di Omero insieme con una scultura di grifoni che aggrediscono un cervo furono acquistati e pagati per la somma di 10,2 milioni di dollari, senza che il venditore potesse certificarne 1’origine molto probabilmente dalla Magna Grecia, il sud d’Italia.

E questo nonostante tutti gli esperti d’arte, come il professoe Riccardo Elia della Boston University avvertissero lapalissianamente, che “un opera d’arte della quale non si può certificare l’origine è, con ogni probabilità, rubata o illecitamente ottenuta”. Una perizia che non impedì al Getty di accettare una incantevole statua di Afrodite, antica di 2.400 anni, avvolta in un peplo reso aderente dall’acqua dalla quale è affiorata, in perfetto state di conservazione e certamente venuta da un tempio greco in Italia, dove era l’oggetto principale di culto. L’Afrodite siciliana fu pagata, nel 1988, quasi 20 milioni di dollari.

Sono state decine, 82 seconde le investigazioni, le opere acquistate da mercanti sotto processo come True, o condannati in prima istanza o complici di altri, e non è certamente solo il Getty ad avere avuto problemi con loro né è soltanto l’Italia ad essere saccheggiata dai razziatori di tesori.

Ci sono inchieste su opere d’arte provenienti dalle necropoli e dalle città messicane e centroamericane, Maya e Azteche, c’è una squisita effigie di un Faraone la cui provenienza è indimostrabile, e persino gli avvocati scelti pel condurre l’inchiesta interna hanno indicato più opere ” rubate ” all’Italia di quante gli stessi carabinieri e magistrati italiani avessero chiesto di restituire. Fatto che non può stupire, date che il direttore, Walsh, annotò in un memorandum per il presidente del museo: “Dunque due cose sono chiare: 1) Noi compriamo opere rubate sapendo che sono rubate e, 2) Noi negoziano con truffatori sapendo che sono truffatori”.

Ora il castello sui monti di Santa Monica ha alzato il ponte levatoio legale e la villa sul Pacifico non risponde più alle accuse né al Los Angeles Times, chiudendosi dietro il classico “segreto istruttorio”. Se si guardano le cifre, il numero e la storia delle opere esposte o acquisite nella sezione della antichità, questo stupendo museo potrebbe subire, legalmente, la spoliazione alla quale illegalmente avrebbe contribuito, in Italia e nel resto del mondo.

J. Paul Getty, petroliere senza scrupoli, sosteneva, in una delle sue battute più famose, che “i poveri erediteranno la terra, ma i ricchi erediteranno i diritti di scavare sotto la terra”. Si pensò al petrolio, ora sappiamo che intendeva anche nelle tombe.

Fonte: La Repubblica 26/09/2005
Autore: Vittorio Zucconi

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