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TORINO – MUSEO EGIZIO – IL VOLTO DI HARWA

Il sepolcro di Harwa, l’artigiano figlio di Nesamonndjema e di Irterau, fu ritrovato intatto nei primi anni del Novecento da Ernesto Schiaparelli nella Valle delle Regine presso Tebe, tra altri sarcofagi ammucchiati in una delle tombe dei figli di Ramesse III. Dopo esser stata depredata, la sua sepoltura diventò una sorta di fossa comune che conteneva altri gruppi familiari di epoca successiva al Nuovo Regno, databili tra la XXII e la XXIV dinastia.

Un borghese benestante, probabilmente, alto circa un metro e 58, morto tra i 45 e i 50 anni, vissuto presumibilmente fra il 1600 e il 1800 a.C., bendato e mummificato, pronto a salire sulla barca che naviga verso Occidente inseguendo i raggi di Ra, il corpo di Harwa è rimasto per qualche decennio nei magazzini del museo Egizio insieme ad una trentina di mummie mai esposte al pubblico.

Fino al 10 Febbraio 2001, quando fu trasportato all’Ospedale delle Molinette insieme ad altri 17 sarcofagi. L’obiettivo della direzione del Museo Egizio era quello di acquisire elementi per ricostruire l’identità delle mummie, rilevare in esse l’eventuale presenza di corpi estranei come gioielli, stabilirne l’età esatta della morte, individuare eventuali malattie, studiare il tipo di mummificazione utilizzata, acquisire informazioni sulla paleopatologia dell’epoca, il tutto senza togliere neppure una benda.
La mummia di Harwa fu sottoposta ad una TAC dell’ultima generazione nel reparto dell’Istituto universitario. La scansione durò pochi secondi, ma consentì l’esecuzione di 1119 rilevamenti.
Nei laboratori della Scientifica un poliziotto, un medico legale, un biologo, un tecnico informatico, assistiti dal professor Renato Grilletto, antropologo del Dipartimento universitario di Biologia animale e dell’uomo dell’Università di Torino, nel corso di quasi due anni hanno lavorato al trasferimento dei dati ottenuti dalla TAC su uno speciale e costosissimo programma di computer (il Sistema di ricostruzione elettronico del volto – SIREV – messo a punto da Scotland Yard e adottato anche dall’FBI) capace di disegnare modelli tridimensionali. L’artista forense ha infine modellato la plastilina – la stessa utilizzata da Steven Spielberg per la creazione dei dinosauri di Jurassic Park -, utilizzando nylon, resine, piccoli tasselli in legno per ricostruire lo spessore della cute e delle parti molli, la bocca, il labbro superiore più sottile di quello inferiore, a sua volta carnoso, gli zigomi alti, la mandibola squadrata, una piccola verruca sulla tempia sinistra, le orecchie leggermente a sventola, una piccola gobba a metà dell’osso nasale, gli occhi tondi e scavati, una fossetta profonda sul mento: il volto umano.

Dagli esami è emerso che Harwa, morto probabilmente d’infarto o di polmonite, non presentava fratture craniche, ma le prime quattro dita del piede destro e del piede sinistro erano spezzate e in parte disintegrate, probabilmente per effetto dell’aggressione dei topi dopo la sepoltura. L’egizio soffriva, inoltre, di una leggera artrosi alla colonna vertebrale.
Tra le bende e all’interno del corpo del “reperto 5226” sono stati trovati pezzi di travi in legno utilizzate per sostenere il cadavere mummificato, monili e una placca metallica appoggiata sull’incisione all’altezza dell’addome, probabilmente utilizzata per eviscerare il corpo prima della sepoltura.
Il modello del capo di Harwa verrà esposto al Museo Egizio nel 2003 accanto al sarcofago ed al corpo imbalsamato, a mostrare le imperfezioni dei volti mortali cancellate dalle maschere funerarie.
Fonte: Redazione
Autore: Grazia Modroni
Cronologia: Egittologia

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