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PEVERAGNO (Cuneo, Piemonte) – L’antica cappella di San Giorgio orientata sul Solstizio d’Inverno.

“Milex in arma ferox, bello captare triunphum Et solitus vastas pilo transfigere fauces Serpentis tetrum spirantis pectore fumum Occultas extinguere fauces in bella, Georgi”.

(Iscrizione che ornò sino al 1828 l’affresco (ora perduto) di Simone Martini in Notre Dame des Doms di Avignone, queste parole sono state attribuite al Petrarca).

Sulla sinistra orografica dello Josina, in cima ad una verde collina, forse da sempre coltivata a vite, che protegge dai venti di tramontana il borgo di Peveragno, si eleva, dal XIII secolo un’antica Cappella consacrata a San Giorgio, il Santo protettore del paese.

Sulla sommità del declivio terrazzato (m 654 s.l.m.), che da alcuni documenti trecenteschi viene denominato “ripa Sancti Georgi”, pare si elevasse una vetusta torre di scolta, di vedetta, appartenuta all’antica famiglia morozzese dei Pipa. Questo fortilizio, che da un documento della Certosa di Pesio redatto il 21 febbraio del 1297 viene ricordato come “que appellatur turris Piparum”, faceva probabilmente parte di un più vasto sistema di difesa medievale. Esso, insieme ai castelli posti sui circostanti colli di Castelvecchio (loc. Montefallonio), di Monte Calvino e di Forfice o “Forficum”, proteggeva due importanti ed antiche vie pedemontane: la “via de Quarantam” che da Cuneo saliva verso Flamulasca (l’attuale Chiusa Pesio), e la “via Moretia” o “Morocenga” che seguendo il corso dello Josina dirigeva a Morozzo.

Questi poggi, furono già frequentati a partire dalla preistoria, come attestano i vari ritrovamenti avvenuti all’inizio del secolo scorso che restituirono selci, quarzi, un’ascia in pietra verde levigata e materiali ceramici, recentemente ritrovati a Castelvecchio. Essi attestano una facies ligure della media e seconda età del Ferro, e testimoniano una continua presenza culturale sfociata nella trasformazione di questi siti, in particolare per quello di San Giorgio, in un luogo di culto cristiano.

L’antica Cappella, che secondo recenti osservazioni “reca incorporate in sovrapposizione testimonianze tenui, ma chiaramente leggibili, sia dell’evoluzione strutturale e artistica, che di presenze culturali che hanno accompagnato la nascita e la trasformazione dell’insediamento peveragnese”, oltre a porsi in una località panoramica di particolare bellezza, si appoggia su un antico luogo di culto pagano.

E’ evidentemente molto suggestiva l’ipotesi di un’area “sacra” legata a forme cultuali di arcaiche comunità. Una simile funzione augurale, sembrerebbe ampiamente fornita dalla presenza di alcune incisioni rupestri segnalate nel 1979 dal prof. E. Jamigro d’Aquino ed in seguito rilevate e studiate da Barale e Ghibaudo. Le istoriazioni ritrovate, in special modo un sistema a disposizione libera composto da coppelle interconnesse da canaletti presente su una superficie obliqua rivolta verso la Bisalta, sono incise sul lato destro dell’abside della chiesa, potrebbero illustrare il loro utilizzo sacrificale?

Ma fino a che punto sussistono indizi archeologici per proporre una simile ipotesi? Se a San Giorgio il legame tra petroglifi e sacrifici è fin troppo suggestivo, è da ritenere estremamente probabile l’interpretazione dell’insieme come area cultuale-abitativa preromana, sorta nel luogo più significativo, forse correlata a momenti astronomici particolarmente importanti, situazione recentemente individuate nel sito del “Castello” di Montaldo di Mondovì. Del resto una funzione sacra e celebrativa di questo luogo è difficilmente contestabile se si considera che su questo poggio il nuovo culto si è attestato sulle precedenti manifestazioni attraverso la cappella cristiana del Santo cavaliere.

Inoltre è importante tener presente la particolare atmosfera di “religiosità popolare” che tradizionalmente era legata a talune rocce istoriate: riti di venerazione di santi particolari – che spesso si sovrapponevano a numi precristiani – o addirittura di rituali eterodossi che qui cercarono rifugio. Si può così spiegare la presenza di alcuni segni enigmatici, dalle forme particolari a “P” rovesciata, simboli tardo-medioevali già ben conosciuti in altre valli dell’arco alpino, come in Valchiavenna.

Questa forma degradata di esecuzione eterodossa o a fondo magico, fuori dall’ambito cristiano è qui ben espressa da alcune incisioni a “P” capovolta e dalla singolare iscrizione contraria del nome “Pietro”. Quindi la costruzione della Cappella in epoca tardo gotica, periodo in cui forte si manifestò la lotta contro le tendenze “stregoniche” valligiane, la si può sicuramente considerare come una forma di risacralizzazione cristiana ed esorcismo del “pagano”. Da quanto è emerso, si tratta pur sempre di una sopravvivenza consapevole di antiche tradizioni precristiane che individuavano nel giorno del solstizio d’inverno la “vittoria della luce sulle tenebre”. Che la Chiesa cristiana abbia assorbito antichi culti solari non stupisce in quanto la stessa religione cristiana ha dovuto lottare a lungo con precedenti culti pagani rimasti vivi fin dopo l’anno mille e all’inizio della diffusione nell’impero ha dovuto lottare anche contro la religione mitraica che costituiva la seconda religione dell’impero specialmente portata da soldati.

L’attuale costruzione fu elevata in epoca barocca e dotata di un campanile in stile neogotico realizzato nel 1930 su ispirazione dei minareti di Rodi. Esso fu elevato come testimonianza di un nativo di Peveragno, Mario Lago, cittadino peveragnese, allora Governatore del Dodecanneso. Tale costruzione si appoggia su una precedente struttura insistente, a quanto pare, sull’antica torre realizzata in epoca tardo medievale probabilmente in connessione con il sorgere del ricetto di Peveragno, l’antica “Piperagni”.

La piccola chiesa, il portico antistante è costruzione più tarda, che nel suo interno conserva alcuni affreschi attribuiti a Giovanni Mazzucco, dipinti scoperti negli anni ’60, custodisce, secondo gli specialisti, il più antico ciclo pittorico finora accertato nel territorio peveragnese.

Le opere, eseguite secondo gli studiosi verso la metà del XV secolo, contengono, anche se notevolmente danneggiate sia dai vandali che dal tempo, i resti di una Crocifissione sulla parete destra e su quella di sinistra dove è aperta una finestra strombata, la rappresentazione acefala di Sant’Antonio Abate, mentre il Santo Patrono del colle campeggia nell’abside, dove è raffigurato su uno splendido cavallo bianco nell’atto in cui sconfigge il drago e libera la nobile principessa, che assiste all’inesorabile duello. La principessa e il drago oggi non sono più visibili in quanto rubati dopo uno “strappo” professionale o eseguito da ladri che bene conoscevano la tecnica dello “strappo” di cui restano piccoli frammenti di stoffa ancora incollati sulla parete. Per fortuna esiste una foto della principessa ed un cittadino di Peveragno ha riprodotto meritoriamente la figura sulla facciata della sua casa a ricordo dello scempio commesso.

I committenti dell’antico edificio furono, secondo la tradizione, i transfughi di Forfice, che per invocare la protezione del Santo sul nuovo borgo che stava nascendo, vi vollero dedicare un piccolo ma “prestigioso” tempio. La chiesa venne elevata secondo un’architettura evoluta, ricca di elementi di notazione “astronomica” probabilmente attribuibili a organizzazioni monastiche o religiose-cavalleresche giunte nell’antica “bastita” di “Piperagni” già nel XIII secolo.

Ma non è dell’opera d’arte che qui vogliamo parlare; ciò che qui ci interessa è l’orientamento astronomico e i giochi di luce del Sole, che in particolari momenti dell’anno vanno a colpire alcune figure rappresentate negli affreschi. D’altra parte la luce è l’attributo stesso della divinità. Pierre de Roissy cancelliere della scuola di Chartres scriveva all’inizio del 1200: “Le pitture nella chiesa sono delle scritture per coloro che non sanno leggere… le finestre dipinte sono delle scritture divine perché versano la luce del vero Sole, cioè di Dio, all’interno della chiesa, vale a dire nel cuore dei fedeli, illuminandoli al tempo stesso”.

Innanzitutto bisogna ricordare che in quell’epoca -siamo sul finire del Duecento-, la teologia contemplativa giocava un ruolo fondamentale nelle espressioni di fede della gente di allora; la stessa struttura della chiesa non era solo un edificio di culto, un contenitore di fedeli, ma doveva anche esprimere nell’orientamento “assiale” della fabbrica, nella disposizione delle finestre, certi profondi significati simbolici. I metodi adoperati per ottenere questi particolari orientamenti purtroppo non ci sono noti, secondo alcuni storici dell’astronomia queste regole “riguardavano solo i progettisti e i costruttori i quali probabilmente seguivano delle norme che per tradizione si tramandavano oralmente nei secoli senza bisogno d’una codificazione scritta”. Alcuni scritti di notevole importanza per le regole geometriche costruttive sono riportate nel libro di Adriano Gaspani anche se mancano per ora ipotesi sulle concrete tecniche costruttive. Forse si usavano pali di legno ed assi intorno ai quali veniva poi “assemblata” la chiesa in muratura. Come gli antichi templi pagani, dove vigeva la convinzione che la salvezza proveniva dall’Oriente, anche per le aule cristiane si manteneva l’antica consuetudine dell’orientamento “versus solem orientem”, tradizione che arrivò in Occidente attraverso il mondo greco-romano. Le medesime “Costituzioni apostoliche” del IV e V secolo raccomandavano che il celebrante doveva rivolgersi in tale direzione.

Che per la Cappella di San Giorgio tutto questo sia un caso è quanto mai improbabile. Anche per il singolare doppio ingresso del Sole solstiziale al mattino dalla finestra strombata e alla sera dalla porta. Gli unici due punti aperti dell’edificio. Bisogna tener presente che nell’epoca della sua costruzione si sapevano progettare queste cose; come in altri centri dell’Italia settentrionale, certamente più importanti, anche a “Piperagni” alcune nozioni astronomiche non erano sconosciute e, proprio in omaggio a quella teologia contemplativa, di cui s’è detto poc’anzi, era molto importante sfruttare alcuni effetti luminosi. Romano, riferisce nel suo testo di Archeoastronomia Italiana, che non abbiamo alcun documento scritto che spieghi il sistema o il metodo con cui venivano orientate le chiese. Forse l¹equivoco è dovuto al fatto che vi è differenza tra la teoria e la pratica. La teoria geometrica è una cosa mentre diversa è la tecnica dei capimastro che costruivano materialmente la chiesa.

La ierofania, il senso della presenza di qualcosa di sacro, che si produce in questa Cappella, come in altre situazioni della medesima epoca ma in luoghi differenti – e basti ricordare gli effetti luminosi che si sviluppano nel giorno di Natale nella cappella degli Scrovegni a Padova, e nella sala capitolare dell’Abbazia di Chiaravalle della Colomba (Piacenza) – l’effetto ierofanico, dicevamo, era in grado di produrre una grande suggestione. Già negli anni ’80, nel corso di un progetto denominato “Sol Aequinoctialis”, alcuni specialisti avevano misurato astronomicamente alcune chiese del Veneto individuando nella chiesetta di Borgo Servi (XV sec.) a Portobuffolè, in provincia di Treviso, un orientamento diretto sulla levata del Sole nel giorno del solstizio invernale.

Diverse sono le festività connesse con il solstizio d’inverno, dai “Saturnalia” dei Romani, al “Dies Natalis Solis Invicti” (la nascita del Sole invincibile) (dal latino, natalis, natus) della tarda romanità sino al “Natale” cristiano che venne posto proprio al “Solis statio”, ovvero al solstizio invernale nel calendario giuliano ancora utilizzato all’epoca.

Un’accurata indagine astronomica eseguita dagli scriventi ha dimostrato inequivocabilmente che l’asse della cappella, nel senso abside-porta, è orientato sul tramonto del Sole al solstizio invernale. Ovvero nel giorno del 21 (22) dicembre l’astro tramontando sull’orizzonte locale alle ore 16:30 si dimostra essere in allineamento solstiziale con l’asse dell’ingresso della Chiesa rivolto a Sud Ovest. Tutto questo fenomeno luminoso culmina con l’ultimo bagliore solare, verso le ore 16:40. Quindi la luce del Sole che penetra dalla porta cade, a quanto pare, in posizioni “studiate” e volute dai costruttori della chiesetta campestre. La chiesa originaria era arretrata di sette metri rispetto alla attuale e l’apertura della cappella molto più larga, almeno m. 3,60.

Il luminare, tramontando in questa data illumina, per diversi minuti, esattamente l’altare dedicato a San Giorgio. Perfettamente in tema con il Santo che dal cavallo lotta contro il mostro delle tenebre. Interpretato dalla cristianità come la lotta del Bene contro il Male, la figura di San Giorgio può essere colta anche nella dimensione meno astratta e più concreta di una lotta perenne della “luce” contro le “tenebre”, del Sole contro l’oscurità. La disposizione della Cappella dedicata al Santo cavaliere che lotta contro il mostro che sta per divorare la nobile fanciulla ha, in questo caso, un significativo riferimento al “declino della luce” nella stagione invernale. La fanciulla inoltre in alcune icone africane è rappresentata su un albero come la dea Istar. Dall’iconografia possiamo desumere una valenza “lunare” della fanciulla salvata dal cavaliere.

L’allineamento sul solstizio invernale dimostra come nella cristianità medievale sia ben presente il concetto di lotta tra la luce e le tenebre. Questo conflitto astratto non sarebbe stato compreso da una popolazione analfabeta se non fosse stato impersonato da personaggi conosciuti che, avvolti in un alone di leggenda servivano a canalizzare le paure e le speranze dei fedeli che frequentavano il Colle.

Queste ierofanie, che in quell’epoca avevano un preciso significato teologico, venivano, come si evince da queste note, curate con molta attenzione.

Ma non basta; ciò che ancora ci incuriosisce e che costituirà la seconda campagna di rilevamenti e di studio è una “lama” di luce che, attraverso la finestra strombata, che si apre a poco più di 110 gradi Sud-Est rispetto all’asse della chiesa, colpisce e spazzola in momenti astronomicamente significativi, come nel caso del Sole invernale, o in particolari date dell’anno liturgico, alcune figure degli affreschi Quattrocenteschi.

Attraverso la sperimentazione di una nuova tecnica di misura detta “corridoio di visibilità”, concettualizzata da Brunod costituisce un parametro di correzione che storicizza il concetto di misura – eccessivamente precisa con le attuali strumentazioni -, riportandolo all’uso visivo e simbolico che ne facevano i mastri costruttori delle Chiese cristiane, potremo evidenziare il percorso e le dimensioni della lama di luce prodotta dall’unico lucernario posto verso Sud-Est. E’ probabile che i costruttori usassero impostare questi parametri misurandoli con pali di legno ed assi e successivamente la chiesa in muratura fosse costruita intorno a questi punti. Di qui deriva l’importanza di ricostruire l’assetto primitivo del pavimento per ritrovare eventuali buche di pali che servirono a fissare le misure e l’orientamento per la costruzione. Questa seconda indagine che stiamo svolgendo con la collaborazione di Adriano Gaspani dell’Osservatorio Astronomico di Brera e Walter Ferreri dell’Osservatorio Astronomico di Pino Torinese, ci consentirà di comprendere quale era la cultura dei committenti, dei costruttori e dei fruitori dell’antica Chiesa di San Giorgio. Inoltre ci permetterà di ricercare, attraverso questo ciclo pittorico come si sono elevate nel tempo a livello di simboli metafisici, dei veri e propri “biblia pauperum”, una tecnica della “memorizzazione del sapere” che potrebbe evidenziare i rapporti che si erano venuti a creare sul colle di San Giorgio tra l’uomo e il cielo.

ICONOGRAFIA

Piozzo, Cappella del Santo Sepolcro, affreschi gotici: il Santo è raffigurato in piedi accanto a S. Lucia e S. Michele.
Priola, fraz. Casario, Cappella di San Bernardo, affreschi gotici: il Santo è raffigurato a cavallo mentre uccide il drago.
Cigliè, Cappella di San Giorgio, affreschi gotici: il Santo è raffigurato nell’atto di uccidere il drago.
Bardineto, Cappella di S. Nicolao, affreschi gotici: S. Giorgio a cavallo uccide il drago in presenza della Principessa.
Campochiesa (Albenga), Chiesa di San Giorgio, affreschi gotici: storie del Santo.
Bastia Mondovì, Chiesa di San Fiorenzo, affreschi gotici: nel complesso ciclo pittorico appare, nel presbiterio, parete destra, una raffigurazione di San Giorgio a cavallo mentre uccide il drago.

Due tra le più belle immagini di San Giorgio si trovano nel Castello di Fenis in Valle d¹Aosta: affreschi gotici. Una, interna, si trova nella Cappella del Castello ed il Santo è raffigurato in piedi, nell’atto di schiacciare il drago (trafitto) sotto i piedi. La seconda, esterna (affreschi del cortiletto) raffigura il Santo a cavallo nell’atto di uccidere il drago in presenza della Principessa.

Farigliano, Cappella di San Nicola. Qui è conservata una raffigurazione di un Santo guerriero, presumibilmente San Giorgio, raffigurato in piedi: lo stato di conservazione non permette di individuarlo con precisione.

Si ringrazia Alessandro Abrate che ci segnala alcuni affreschi di San Giorgio in ambito monregalese.

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TESTI DI ARCHEOASTRONOMIA:
A. Gaspani, 2000, “GEOMETRIA E ASTRONOMIA NELLE ANTICHE CHIESE ALPINE” Collana Quaderni di Cultura Alpina, No.71, Priuli e Verlucca Editori (Ivrea).
Fonte: Redazione
Autore: Giuseppe Brunod e Piero Barale
Cronologia: Arch. Medievale

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