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Orazio FERRARA: Culti nella Campania antica – Il remoto dio delle fonti.

Lo studio della simbologia impressa sulle antiche monete dei Sarrasti, rinvenute nel corso degli scavi della Valle del Sarno e in particolare in Nuceria Alfaterna, conferma ed amplia quello che già conoscevamo da altre fonti: il culto delle acque del Sarno deificato. Culto attestato per l’età romana da Svetonio e dall’effigie sacra ritrovata nel borgo marinaro fluviale di Pompei; culto assai diffuso, come evidenziato dal grande storico Mommsen.

La simbologia della stragrande maggioranza delle monete, soprattutto quelle di epoca preromana, riporta sempre, pur nella diversità dei segni grafici, ad un unico concetto o idea-guida. Infatti i simboli impressi, quale la protome o testa equina, i due cavalieri, il cavallo che sovrasta una stella, la testa giovanile con corna ritorte, il cane, il toro con volto umano, il giovane con accanto un cavallo, non sono altro, come vedremo più avanti, che multipli grafici esoterici di una stessa immagine o concetto sacrale, che affonda le sue radici nel preistorico culto delle acque o della civiltà delle “Sacre Sorgenti”.

Questo culto, ripreso ed integrato con elementi magici dagli Etruschi durante il loro predominio sulla valle, sarà trasmesso in seguito ai Romani.

A Sarno si ritrovano accomunati tutti gli elementi sacri indispensabili al culto di questa antica religiosità mediterranea pre-indoeuropea: la montagna ai cui piedi sgorgano copiose sorgenti che danno vita ad un fiume.

Caratteristiche queste che predestinavano il luogo ad un destino misterioso e fatale, come testimonia il successivo insediamento del Fanum etrusco. Il nucleo centrale della preistorica religione delle “Sacre Sorgenti” è imperniato su una ambigua trinità: la Grande Dea, signora della montagna sacra, dalle cui viscere sgorga il fiume ovvero il Dio della sorgente, figlio e sposo allo stesso tempo della Grande Dea o Madre a cui dona la fertilità, infine due cavalieri, di cui uno immortale e uno mortale (rappresentanti l’uomo nella sua doppia natura corporea e spirituale). Questi due cavalieri, la cui immagine ricorre in molte monete sarraste, saranno identificati poi in epoca storica con i Dioscuri.

L’antico nume della sorgente era un dio oscuro ed infero, adorarlo e bagnarsi nelle sue acque consacrate permetteva di porre piede nel Regno dei Morti, pur essendo viventi. Dunque immergersi nelle sue acque equivaleva a morire e rinascere a nuova vita, da qui il formarsi di un culto misterico in cui l’orgia sacra era la via d’accesso all’iniziazione. Tracce di questi riti persistono poi nel culto di Dioniso, immagine alterata e tarda del dio delle fonti, i cui misteri sono celebrati nell’omonima e famosa villa della Pompei romana.

Per questi motivi il corso del fiume era sacro, ed era sacrilegio guadarlo senza una preghiera o costruirvi un ponte senza una cerimonia d’espiazione. Non a caso il nome della più antica carica religiosa etrusca è Pontifex, figura passata poi nella religione romana ed infine in quella cattolica, la cui etimologia è letteralmente “facitore di ponti”, quindi soltanto un sacerdote poteva violare, mediante un apposito rito d’espiazione, il corso di un fiume con la costruzione di un ponte.

Tornando alla simbologia impressa sulle monete, riscontriamo con frequenza la figura del toro dal volto umano, che è una delle rappresentazioni classiche con cui gli antichi indicavano i fiumi, onde l’epiteto dato agli stessi di “Tauromorfi” (così Orazio dell’Ofanto, Od. 4, 14, “Sic Tauroformis Volvitur Aufidus”). Altra figura che ritroviamo con altrettanta frequenza è la testa di un giovane dai cui capelli ricci fuoriescono due corna ritorte, essa è un’ulteriore immagine del dio Sarno; le due corna sono i sacri attributi fluviali, come conferma Ovidio nel descrivere Aci trasformato in fiume (Met. 13,894). Ed è proprio da un corno fluviale che gli antichi derivarono poi la cornucopia, o corno dell’abbondanza, di cui un bellissimo esempio scultoreo è la fontana dell’abbondanza lungo l’omonima via di Pompei.

Altra frequente rappresentazione è quella del cavallo o della sua testa tagliata, che conferma trattarsi di un culto, quello del dio Sarno, con evidenti tracce ctonie ed infere; è il cavallo infatti a condurre il defunto o l’iniziando nell’aldilà. Questa simbologia è molto spesso associata a quella dei due cavalieri ovvero dei Dioscun. Da Leda, amata da Tindaro e da Zeus, nacquero due gemelli, Càstore e Pollùce, detti Dioscuri. Càstore era mortale perché figlio di Tindaro, Pollùce immortale perché figlio di Zeus. Si narrava anche che loro antenato fosse il leggendario eroe Ebalo (Oebalus) della Laconia, lo stesso nome Ebalo peraltro, secondo Virgilio, portava il primo mitico re delle genti sarraste. In una contesa Càstore, abilissimo domatore di cavalli, fu ucciso. Pollùce, impietrito dal dolore, pregò Zeus di far morire anche lui, ma a ciò si opponeva la sua immortalità. Zeus, impietosito, decretò che un giorno entrambi fossero nel mondo dei morti e che nel seguente godessero della luce dei viventi.

I Dioscuri erano, per gli antichi, fenomeni di luce, ma di luce che lotta contro l’oscurità: i due crepuscoli, quello del mattino (Pollùce che vive) e quello della sera (Càstore che muore). Gli antichi li raffigurarono anche come una costellazione (la stella che appare in alcune monete). Il dio delle sorgenti annunciava, attraverso l’immagine dei Dioscuri, l’essenza stessa della morte che conteneva nel suo segreto il germe dell’eterna rinascita. Il Dio delle “Sacre Sorgenti” era quindi il tramite tra i due regni, quello dei morti e dei viventi. Ecco perché farsi “sommergere” dalle sue acque equivaleva a morire e a rinascere.

Questo il nocciolo centrale del culto misterico del dio che dimorava nelle sorgenti del Sarno e a cui erano bene accetti i sacrifici di cani immolati secondo il rituale infero, e l’effigie di un cane è ricorrente nella simbologia delle monete sarraste.

Il preistorico culto solare sul Sarno. Il circolo l’ascia e la svastika.

Le necropoli, risalenti all’età del ferro, dei siti di San Marzano, di Striano, di San Valentino Tono, ecc., evidenziano, senza dubbio alcuno, la persistenza di un sostrato cultuale, che si riallaccia al preistorico culto solare. Indizi certi di tale culto sono i circoli, formati da canali o da muretti di pietre, che delimitano le tombe; l’orientamento della testa dell’inumato rivolta sempre verso il punto cardinale dove nasce il sole (oriente); il ritrovamento dell’ascia rituale accanto a quella di combattimento e, soprattutto, il simbolo della svastika che appare graffito sul vasellame.

Anche se questi indizi sono sommersi da numerosi altri che denotano, allo stesso tempo, la preponderanza nella Valle del Sarno di un culto che si basa sui riti della fecondità e delle acque, essi rivelano chiaramente tracce di un culto solare retaggio di influssi o gruppi indoeuropei. Questi gruppi appartengono probabilmente a quell’ultima ondata di migrazione di genti indoeuropee o ariane, che, in età storica, scendono in Italia nella direzione Nord-Sud attraverso la dorsale degli Appennini e che arrivano a lambire la valle, con le cui popolazioni stabiliscono relazioni con conseguenti reciproci influssi cultuali.

Il culto preistorico del sole, quale datore di vita, era tutto incentrato sul simbolismo del circolo, contemporanea immagine dello stesso sole e del suo cammino annuale nelle regioni celesti. Punto critico di questo cammino annuale era il solstizio d’inverno, in cui il sole usciva dalla fase discendente ed entrava in quella ascendente. Il solstizio d’inverno era dunque il giorno del sole trionfante, che rinasceva ” a nuova vita”. Per questo era detto “Natalis Dii Solis Invicti”, cioè Natale del Dio Sole Invitto. Il motivo della presenza del circolo intorno alle tombe delle necropoli sarraste e dovuto pertanto a quel conosciuto rituale primitivo con cui, attraverso un meccanismo magico-analogico, si voleva riprodurre sul morto le vicende del dio, in questo caso la “rinascita a nuova vita”. Anche la presenza dell’interruzione del circolo (canaletto o muretto) quale si presenta nelle necropoli, trova una subitanea corrispondenza nel mito solare indoeuropeo. Infatti quest’ultimo narrava che nel solstizio d’inverno il cammino circolare del sole era spezzato in due parti dal dio-Anno raffigurato anche quale dio-Ascia, che divideva o tagliava con l’ascia i mesi oscuri dai mesi luminosi. E l’ascia rituale ritroviamo in molte tombe femminili delle necropoli. Ciò lascerebbe intendere che depositaria dei riti solari, degradati però soltanto al loro simbolismo di “principio maschile”, sia stata una casta di sacerdotesse, consacrate al predominante culto dei riti della fertilità e delle acque.

Questo in una perfetta simbiosi di riti e di culti, inizialmente contrastanti, non nuova nelle popolazioni primitive. Inoltre la stessa tomba centrale al suo circolo era l’immagine riflessa del dio-Sole, rappresentato fin dall’alta preistoria come un circolo con punto o pietra centrale.

Quindi nella Valle del Sarno il simbolo solare era messo in relazione al dio-anno (dio-ascia), quale dio di discesa (agli inferi) e di ascesa (alle sfere celesti), pertanto dio di morte e di rinascita, che trovava un perfetto riscontro con le locali deità della vegetazione e delle acque, che morivano in inverno e rinascevano in primavera.

Quanto sopra detto spiega benissimo la presenza del simbolo della svastika, che appare graffito sul materiale fittile delle necropoli. La svastika, o più correttamente lo svastika, non è altro che il preistorico graffito indoeuropeo simboleggiante il sole roteante intorno ad un centro fisso. Questo schema era poi riprodotto con materiale vegetale durante le cerimonie rituali, che prevedevano l’incendio dei bracci della svastika trasformandola in croce fiammeggiante, che roteando sul suo centro riproduceva il sole in tutto il suo fulgore. La svastika, con le sue varianti quali la ruota raggiata e il circolo con la croce, era il simbolo beneaugurante dell”‘eterno ritorno”.

(tratto da Orazio Ferrara -Arcaiche radici e diafane presenze – Edizioni Scala, Sarno 1995)
Autore: Orazio Ferrara
Cronologia: Protostoria

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