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NOTO (SR): La villa del tesoro.

Si tratta di un capolavoro del IV sec. d.C.
Scoperto casualmente trent’anni fa, dopo un lungo lavoro di restauro viene finalmente esposto al pubblico.

Era la dimora di una famiglia di latifondisti, i cui pavimenti erano ricoperti da straordinari mosaici che, per raffinatezza di stile, sono tra i più significativi dell’epoca e possono bene rivaleggiare con quelli, notissimi, di Piazza Armerina, presso Enna.

”Gli scavi, cominciati tra mille difficoltà burocratiche a metà degli anni 70, hanno portato alla luce i resti di una villa di 6 mila metri quadrati” racconta Voza, che da sovrintendente ha poi seguito passo per passo la straordinaria scoperta.

“Il corpo centrale era costituito da una corte circondata da un portico sul quale si affacciavano vari ambienti. Il camminamento era ricoperto da un mosaico a tappeto con festoni e motivi geometrici, ben conservato per 15 metri”.

Ma il ritrovamento eccezionale riguarda i pavimenti di tre stanze tappezzati con scene mitologiche, di caccia e danze, realizzate con milioni di tessere in pietra calcarea e cotto dai colori naturali intensissimi. Storie piene di animali, fiori e volti talmente vivi che sembrano schizzare fuori dal disegno.

La residenza romana bruciò in un incendio, probabilmente alla fine del IV secolo. “Forse fu una conseguenza della calata dei barbari” ipotizza il sovrintendente. “Il racconto sulla vita di santa Melania dice che in quel periodo la nobile romana si rifugiò in Sicilia dove la sua ricca famiglia possedeva 60 ville e da una di queste assistette al rogo di altre dimore, appiccato dagli invasori.

La stessa sorte potrebbe essere toccata a quella sul fiume Tellaro”. Sullo strato di macerie e cenere abbandonato per secoli nel 1700 venne costruita una fattoria, tranciando i mosaici scampati alla distruzione e seppellendoli sotto 50 centimetri di terra e pietre. ”Per recuperarne alcune porzioni abbiamo tolto con un lavoro chirurgico parte delle fondazioni evitando di far crollare quel che resta della masseria” aggiunge Voza. “E viste le condizioni in cui si trovavano abbiamo dovuto tirare via i mosaici e portarli al laboratorio per il restauro”.

Un’operazione delicatissima e rischiosa perché, se eseguita malamente, rischia di scompaginare le tessere, distruggendo per sempre le immagini. Un telo impregnato di un collante speciale viene posato sulla superficie del mosaico, poi si stacca dal terreno il fondo su cui sono posate le pietruzze ottenendo una sorta di tappeto che viene arrotolato intorno a un cilindro di legno per il trasporto. “Avevo una tal paura di danneggiare le opere che feci montare una tenda nel cortile della fattoria dove far immediatamente fissare i mosaici sulle resine” confessa Voza.

Era la fine degli anni 80. Da allora gli esperti hanno lavorato per togliere le tracce lasciate dall’incendio. Con pazienza hanno risistemato alcune delle tessere sparse, ritrovate durante gli scavi, riportando all’originale splendore i racconti narrati sui pavimenti della villa. ”Le fondazioni della masseria avevano rovinato la parte principale di una delle scene più straordinarie: la pesatura del corpo di Ettore, un evento a cui si fa riferimento nell’Iliade” dice Voza.

“Dopo la pulizia sono emersi particolari che ci hanno permesso di stabilire che si trattava proprio del riscatto dell’eroe ucciso. Al centro campeggia una grande bilancia: sul piatto di sinistra è posato l’oro, su quello di destra il corpo”. In alto l’iscrizione in greco svela che i personaggi presenti all’operazione sono Ulisse, Achille e Diomede, i troiani e Priamo.

La drammatica rappresentazione era incorniciata da una fascia decorativa ricca di piante e animali: tra essi una splendida tigre intenta a spiccare un balzo. I particolari del felino sono resi con un dosaggio sapiente dei colori paragonabile a un affresco più che a un mosaico.

”Lo studio cromatico nella posa delle pietre, le dimensioni delle tessere, che si riducono sensibilmente nelle sfumature dei volti e dei musi, per rendere ancora più precisi i dettagli, fa pensare che gli autori erano artisti raffinatissimi” valuta Voza. “Lo stile è riconducibile a quello dei mosaici dell’Africa preconsolare e della villa romana di Piazza Armerina, ma queste rappresentazioni sono più armoniose e più vivaci, le figure sembrano muoversi, la profondità delle immagini è maggiore”.

Elementi che si ritrovano nel mosaico della scena di caccia che ricopriva la più ampia delle stanze ritrovate di 6 metri e 40 per 6 e 20. È la storia di una battuta che si svolge in vari capitoli. In alto si scorgono i cacciatori che assistono all’ingresso nelle gabbie delle fiere catturate, al centro un cavaliere sferra un colpo di lancia a un leone che ha appena ucciso una gazzella. La scena è intensissima: il felino si erge imponente con la sua folta criniera sul corpo straziato dell’antilope che sanguina. Poco più in basso si intravede una figura femminile con lo sguardo rivolto alla tigre che assalta un altro dei cacciatori.

“È molto rovinata ma si intuisce chiaramente che è la rappresentazione dell’Africa, ha tratti comuni a quella del mosaico della Grande caccia di Piazza Armerina”.

La terza stanza aveva un mosaico figurativo più complesso: ai quattro angoli, altrettanti vasi rivolti al centro, da cui traboccano fiori e frutta e da cui partono festoni di alloro che si incontrano in centro in una formella completamente perduta, delimitando quattro zone semicircolari contenenti altre scene come la danza erotica di un satiro e una menade. Impossibile risalire alla destinazione delle camere.

“Non c’è nulla che ci aiuti a capire se c’era un legame tra la scelta dei soggetti e l’uso delle stanze. E purtroppo il fuoco ha cancellato quasi tutte le tracce della vita quotidiana” conclude Voza. “Si sono salvate solo alcune monete, ceramiche e attrezzi di lavoro che stavano nel piano sottostante a quello dei mosaici”.
Fonte: Panorama.it 06/06/03
Autore: Franca Roiatti
Cronologia: Arch. Romana

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