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MONTERENZIO (Bo): I bronzi degli Etruschi e dei Celti nella Valle dell’Idice.

Le campagne di scavo archeologico che da sette anni si svolgono nella necropoli celtico-etrusca di Monterenzio Vecchio hanno portato in luce un complesso funerario di grande importanza, che integra le conoscenze che già si avevano sulla storia di questa fetta di Appennino bolognese tra gli inizi del IV e la seconda metà del III sec. a.C.

Le necropoli ha restituito finora una cinquantina di tombe con corredi mediamente più ricchi e complessi di quelli usciti dagli scavi di Monte Bibele, distanti appena cinque km in linea d’aria verso sud.

In attesa di vedere esposte nelle sale ormai strette del Museo Archeologico “L. Fantini” di Monterenzio, si è deciso di presentare al pubblico una anticipazione delle novità venute in luce, privilegiando i materiali di bronzo e dando loro spazio nella sala principale del Museo.
Si tratta evidentemente di una scelta che riguarda gli oggetti di parure, quelli di toeletta, il vasellame metallico e l’armamento. Tra gli oggetti di parure si sono privilegiate le fibule che compaiono in versioni tipiche del mondo etrusco-italico e del mondo celtico transalpino. Tra gli oggetti da toeletta un posto di tutto riguardo è occupato dagli specchi di bronzo, tipici di alcuni corredi femminili di riguardo, caratterizzati da una finissima decorazione incisa che riproduce temi figurati legati al mito o all’epopea omerica. Si tratta di manufatti prodotti da artisti etruschi dell’Etruria settentrionale, probabilmente di Chiusi, e importati nella valle dell’Idice. Specchi della stessa famiglia si trovano oltre che a Monte Bibele anche a Bologna, dove sono giunti fra il 330 e il 300/ 280 a.C.

Un attrezzo legato invece al mondo maschile e più precisamente alle pratiche atletiche è il csd strigile, un lungo cucchiaio ricurvo – di bronzo o di ferro- con impugnatura elastica, utilizzato dopo le fatiche delle gare o della palestra, per raschiare il corpo dal sudore o dagli olî coi quali esso era stato unto. Tali strigili confermano il movimento di merci di prestigio dalla Toscana e dal Lazio verso il nord, più o meno nello stesso arco di tempo degli specchi. Alcuni strigili hanno sul manico un marchio di fabbrica nel quale si legge il nome del produttore, più comunemente Apollodoro e, per la prima volta nell’Italia del nord, Lucio Lullutio. Marchi in greco, in latino ma anche in etrusco. Una serie di vasi di bronzo documenta il ruolo basilare tenuto dal banchetto e dal consumo del vino nel corso delle cerimonie funebri: un grande secchio di lamina bronzea con superbe anse fuse recanti una decorazione plastica a delfini e a teste femminili, servì probabilmente a contenere il vino deposto accanto al defunto (un uomo morto a 45 anni di età) e bevuto in coppe a due anse in ceramica verniciata di nero, tipiche del periodo. Si presenta poi una serie di vasi di minori dimensioni con ansa verticale sopraelevata utilizzati per attingere quantità precise di vino dal grande vaso di bronzo e mescolarle con precise quantità di acqua. Un elmo di bronzo con paraguance di bronzo e di ferro documenta l’armamento di prestigio di un guerriero (tomba 36) caratterizzato dalle armi celtiche. L’elmo che si presenta in stato di conservazione eccezionale fu riparato alcune volte già in epoca antica e presenta una decorazione celtica ottenuta con incrostazioni di vetro rosso opaco, detto anche smalto. Questa tecnica decorativa era già stata identificata a Monte Bibele, proprio nella classe degli elmi, e denuncia l’esistenza di un artigianato celtico dietro la fabbricazione di armi di lusso.

Un ringraziamento particolare va al Museo Civico Archeologico di Bologna e alla direttrice Dott.ssa Morigi Govi, per il prestito di una brocca di lamina bronzea proveniente da Settefonti, con decorazioni plastiche a forma di felini e teste femminili, testimonianza della diffusione delle produzioni etrusco-meridionali in area picena, padana, golasecchiana e transalpina.

I materiali presentati in mostra sono stati restaurati dalla Soprintendenza Archeologica dell’Emilia-Romagna e da altri restauratori specializzati su finanziamenti ad hoc erogati dalla Regione Emilia-Romagna sul capitolo della L.R. 18/2000, dall’Istituto dei Beni Culturali, e dai Settori Cultura e Turismo della Provincia di Bologna.

La mostra è accompagnata da un catalogo curato dal personale scientifico che collabora col Dipartimento di Archeologia dell’Università di Bologna nella gestione del Museo “L. Fantini”.

 


Fonte: CulturalWeb 10/05/2006
Cronologia: Arch. Italica

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