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Marisa UBERTI: Il curioso ritrovamento del Tempio Capitolino di Brescia e della Vittoria Alata.

Alle falde del colle Cidneo sorge il grandioso tempio che Flavio Vespasiano eresse in Brescia, nell’anno 72-74 d.C. Sulla ‘paternità’ del Tempio non vi sono dubbi, dato che sul frontone è riportata la seguente scritta:

IMP. CAESAR.VESPASAINUS.AUGUSTUS.

PONT . MAX . TR . POTEST . IIII. EMP . X. P. P. CAS . IIII

CENSOR.

L’erezione del tempio si deve alla vittoria dell’Imperatore su Vitellio, nella piana tra Goito e Cremona. Nel periodo della decadenza romana e più ancora nelle incursioni barbariche, nel V e VI secolo, dopo il trionfo del cristianesimo, gli antichi edifici e specie i templi che avevano servito il culto pagano erano lasciati in abbandono, se non distrutti e questo edificio dovette subire molte ingiurie da parte del tempo,delle intemperie e dall’incuria umana, finchè lo sfaldamento di un lembo del colle lo seppellì e per molti secoli rimase solo la tradizione, e un mozzicone di colonna sporgente con il capitello, a meno di due metri dal suolo.Dove esso sorgeva, furono costruite case popolari e sul terriccio del colle spianato prosperò per secoli un giardino, detto “Giardino De Luzzaghi” (dal nome degli ultimi proprietari). Questo,sul principio del 1800, ospitava un’osteria e su quello ‘spuntone’ di capitello di colonna si sedevano a tavola i vari clienti, bevitori, giocatori di carte…Stavano seduti nientemeno che su un reperto romano,senza saperlo, ma la gente colta della città pensava che, al di sotto, si potessero celare i resti di qualche antico edificio: del resto le tradizioni pervenute narravano di un Tempio romano in quel preciso luogo, inoltre erano state fatte altre scoperte di reperti nei paraggi e quindi i dotti dell’Ateneo bresciano volevano vederci chiaro,convinti che lì si potesse celare la Brescia Romana perduta. Cedendo alle loro insistenze, nel 1823, il municipio di Brescia acconsentì ad iniziare gli scavi. Vennero acquistate le casupole circostanti, destinate ad essere demolite, e l’area del giardino Luzzaghi, sotto la quale si riteneva dovesse celarsi il maggior deposito di antichità romane.

I lavori iniziarono con molte energie ed entusiasmi e furono subito coronati dal successo poichè, ad una ad una, vennero alla luce le colonne del grandioso peristilio di un tempio; colonne di marmo bianco, corinzie, scannellate, di taglio perfetto con accanto i pezzi caduti di esse, i capitelli, il cornicione, il frontespizio, il tutto in marmo con finissime modanature .Ce ne fornisce la descrizione il prof. Cafforello nella sua opera enciclopedica( 1889): “Il peristilio del tempio,formato da dieci colonne e quattro pilastri sorgeva su uno stilobato, pure in marmo, alto circa tre metri dal suolo con una larga gradinata davanti, in buonissimo stato come gli altri pezzi. Addossato al colle, era un altro corpo di fabbrica con tre celle del tempio, dedicato, stando alle lapidi ritrovate in situ, alle divinità protettrici di Vespasiano: GIOVE, GIUNONE E MINERVA“.

Tre porte sul frontale danno accesso dal peristilio alle tre celle in cui è diviso l’edificio, circondate da un ambulacro che lo recinge interamente. In fondo a ciascuna di queste celle è un basamento quadrilatero rettangolo; pavimento e pareti sono incrostati di fine marmo e ben conservati; sotto allo stilobato si apre un corridoio con la soglia a mosaico e con tracce di decorazioni a colori,relativamente ben conservati. Bellissimi i mosaici che formano i pavimenti, pressocchè tutti recuperati e ridonati al primitivo stato. Sul frontone,rimesso a posto, si legge l’iscrizione che ho citato all’inizio,in caratteri romani.Insieme alle colonne e loro frammenti, furono trovati numerosi oggetti di uso comune del periodo romano: monete,fibule,lucerne,vasi,spilli,stili,anelli,minuterie di ogni genere;modanature,frammenti di sculture,iscrizioni votive,i pezzi di una statua virile di colossali proporzioni,tre bellissime are oblunghe con bassorilievi,una testa di fauno coronata. Tre anni dopo,nel 1826,casualmente venne portata alla luce la magnifica Vittoria Alata e molti altri reperti che oggi sono esposti in gran parte nei musei cittadini.

E’ possibile visitare l’area archeologica del Capitolium dal martedì alla domenica (orari:10/13 – 14/17,ingresso gratuito). Attualmente stanno anche evolvendo i progetti per rendere il percorso di visita più fruibile per tutti i visitatori interessati a riscoprire il patrimonio artistico di epoca romana a Brescia. Per ulteriori informazioni Area Archeologica del Capitolium
Via Musei, 55- 25121 Brescia – tel. 030.2977834

Il curioso ritrovamento della Vittoria Alata

Sicuramente il pezzo di maggior spicco, che adornava un tempo il Tempio, è la VITTORIA ALATA, il cui ritrovamento venne fatto in una afosa giornata dell’agosto 1826, mentre si scavava in una sorta di cubicolo sul lato destro del tempio, onde isolarne la parete dal monte che sta dietro. In un ‘ripostiglio’ ad arte scavato tra il muro e la roccia, quindi un nascondiglio in piena regola dove doveva essere stata messa (insieme ad altri oggetti) per evitarne il trafugamento o la distruzione, venne rinvenuta la meravigliosa scultura bronzea. Lo spazio angusto rendeva difficili le operazioni di recupero, perchè gli oggetti accatastati erano molti. Si racconta che erano presenti il poeta bucolico Cesare Arici e l’architetto Vantini (che progettò il grandioso cimitero monumentale cittadino) e molta gente trepidante attendeva che venisse mostrata agli occhi di tutti e quale fu lo stupore quando, issata sullo stilobato del tempio e ripulita alla bell’è meglio dal terriccio che la ricopriva, ne videro la bellezza. Scoppiò un applauso commosso anche perchè, in quei giorni in cui la Patria versava in tristi circostanze, la città aveva ritrovato uno dei suoi numi tutelari e si sperò in un avvenimento benaugurale. La statua aveva anche delle dita rotte,che furono in seguito saldate; le restò quella patina di verde cupo che i secoli trascorsi sottoterra le avevano conferito, ma in origine doveva essere dorata. Esigue furono le tracce(ma presenti specie nei ripiegamenti più profondi) del rivestimento aureo che la ricopriva un tempo. I competenti capirono immediatamente che si trattava di un reperto di altissimo valore artistico ed archeologico ma si era in un periodo difficile per le comunicazioni ed era ancora necessario avere il ‘nullaosta’ della polizia della Santa Alleanza, sempre ‘sospettosa’. Pertanto, per lungo tempo, alla statua non venne data troppa pubblicità e dovette rimanere nella circoscrizione locale, nonostante molti studiosi iniziavano a farsi avanti e ad incoraggiare l’attenzione di persone competenti. L’eruditissimo archeologo milanese Labus, scrisse una dottissima memoria sulla Vittoria Alata, mentre tra gli stranieri il primo a riconoscerne la preziosità e il posto che doveva prendere la statua quale capolavoro dell’arte greca, fu Raoul Rochette, insegnante di archeologia a Parigi e addetto al Museo del Louvre.

La statua, al momento del ritrovamento, aveva le braccia e le ali staccate, che le erano state posate vicino con cura; mancava dell’elmo, sul quale poggia i piedi, e del clipeo o scudo, sul quale è in atto di scrivere. Ma lo stupore non era finito: in una cavità interna della imponente statua, venne ritrovata una statuetta di bronzo dorato di 70 cm di altezza, con la testa parimenti dorata e i guarnimenti da cavallo. Questa statuetta -più protetta rispetto a quella che la conteneva– mostrava la sua doratura ancora in buonissimo stato.Al momento,non conosco la destinazione attuale di questo ‘piccolo’ reperto(che chiamerò ‘statua figlia’ della Vittoria Alata) né ho trovato ulteriori menzioni in merito (solo sul testo citato ne ho tratto la notizia) e auspico che qualche lettore interessato o un esperto possa apportare maggiori contributi in merito.

La Vittoria Alata misura 1.95 metri di altezza; è in piedi, nell’atto di scrivere con uno stilo sullo scudo(o clipeo)che tiene fermo con il braccio sinistro sul ginocchio.Il piede sinistro è rialzato(per la piegatura del ginocchio che sostiene il clipeo) e appoggia su un elmo che la accomuna a Minerva. Agli omeri sono attaccate due grandi ali, magistralmente modellate. I capelli, secondo l’usanza greca, sono annodati dietro la nuca. Una sottile benda intarsiata in argento da un ramoscello d’olivo le cinge il corpo. Veste la sottile camicia dorica detta sistide, che una spilla(fibula)trattiene sulla spalla destra;le braccia sono nude, e la veste scende dal collo al fianco,mentre un’altra sottile veste, il sago, tipica delle donne greche antiche, scende sui fianchi disegnandone e modellandone le forme. Da qualunque parte la si guardi, questa statua denota l’armonia perfetta che l’artista che la scolpì le conferì per sempre. Le nuove indagine hanno portato a modificare sia la datazione del reperto che la sua origine. In realtà,essa sarebbe stata in origine una dea, Afrodite, che non aveva le ali e –al posto dello scudo- rifletteva la propria immagine in uno specchio ovale. Una recente mostra a Brescia l’ha mostrata effettivamente in questa ‘veste’:così come doveva mostrarsi nell’originale greco del III sec.a.C. Fatta probabilmente bottino di guerra dai Romani, venne soltanto nel corso del I secolo d.C. issata sul frontone del Tempio di Vespasiano e ‘trasformata’ nella Vittoria Alata, Victoria in clipeo scribens, apponendole due ali posteriori e inserendo uno scudo su cui teoricamente si appresta a vergare il nome dell’Imperatore Vespasiano per celebrarne la vittoria su Vitellio. Non si conosce esattamente quando venne sotterrata con cura:forse nel III secolo d.C., quando la ricerca di bronzo era molto intensa e si temette venisse fusa (fu dunque nascosta) o nel corso delle incursioni barbariche del V secolo,per salvarla dalla depredazione. Da quando fu ritrovata, nel 1826, dopo un corridoio di secoli in cui non se ne seppe più nulla, molti Musei ne vollero i gessi e i calchi; ben presto, divenne uno dei simboli civici più cari al popolo bresciano; fu scelta come simbolo politico e patriottico: venne effigiata su una serie di quattro francobolli emessa nel novembre del 1921 in occasione del terzo anniversario della battaglia di Vittorio Veneto; ispirò a Giosuè Carducci, nel 1878, nobili versi, pubblicati in una raccolta che prese il nome di ‘Odi barbare’ .Anche Gabriele D’Annunzio ne fece menzione (‘Ode alla Vittoria’). La statua comparve, a testimonianza della grande diffusione che aveva raccolto, quale icona per il manifesto del Primo Circuito Aereo Internazionale, prima manifestazione aviatoria italiana svoltasi nella città di Brescia nel 1909 e, ancora oggi, è oggetto di studio e interesse da più parti. La possiamo ammirare in una delle sale del Museo di Santa Giulia a Brescia.

Per tutte le informazioni su come arrivare e itinerari di visita: WWW.BRESCIAMUSEI.COM






Autore: Marisa Uberti
Cronologia: Arch. Romana

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