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M. Munzi: L’EPICA DEL RITORNO – Archeologia e politica nella Tripolitania italiana

“L’Erma” di Bretschneider, pp. 168, € 77.46

Solitamente si usa dire che nella seconda metà degli anni Sessanta l’archeologia ha “perso la propria innocenza”; ha guardato verso l’esterno, in direzione delle altre discipline, ma ha soprattutto guardato al suo interno, alla propria storia, alle proprie procedure e ai propri obiettivi. Si è così pienamente raggiunta la consapevolezza che, come nelle altre discipline (scienze “esatte” comprese), anche in archeologia non esiste la pretesa oggettività, o peggio la neutralità che molti oggi invocano. A maggior ragione questo vale per una scienza storica, perché come ricorda Paolo Matthiae nell’introduzione alla Storia del pensiero archeologico di Bruce G. Trigger: “L’interesse, l’osservazione e la considerazione del passato non sono mai stati nel corso della storia neutrali. Guardando al passato, remoto o prossimo, l’atteggiamento dell’uomo è sempre stato segnato da orientamenti e prospettive in cui il peso del presente non è mai stato lieve. Né potrebbe essere altrimenti […]”.

Quindi anche il periodo precedente alla “perdita dell’innocenza” in realtà “innocente” non lo era per nulla. Il pensiero archeologico non lo è mai stato. Non è però un aspetto negativo, anzi. Certo comporta dei rischi. Non mancano per esempio episodi di colpevoli compromissioni o giustificazioni di atti politici e di ideologie violente e razziste di cui non andar così fieri, una sorta di “uso politico dell’archeologia”, di subordinazione al potere politico e alle istanze ideologiche, che non sempre gli archeologi hanno vissuto nel ruolo supino di vittime strumentalizzate (e in ogni caso sarebbe stato un grave peccato di ingenuità), ma nel quale hanno anche preso parte volontariamente, aderendo in maniera più o meno attiva e convinta. Al di là quindi del giudizio sul singolo atto o sulla singola persona è necessario che si adotti una prospettiva storica, che si (ri)percorra la storia dell’archeologia in modo critico (ma quale altro modo esiste di fare storia?), dei suoi legami col mondo che la circonda e nel quale di volta in volta si trova ad operare. Con gli orientamenti culturali e filosofici del periodo preso in considerazione e con le diverse sfere del potere, politico, economico e religioso.
Questo è ciò che fa il libro di Munzi, cercando soprattutto di individuare i meccanismi e i modi del nesso archeologia-politica. Ci si sofferma sul ruolo che l’ideologia della romanità ha avuto nelle imprese coloniali italiane, soprattutto per la Tripolitania, la terra che tra i possedimenti italiani più rispondeva alla definizione di provincia romana. E l’archeologia svolge un ruolo fondamentale nell’ambito dell’ideologia del diritto storico di Roma sulla Libia. Da qui la particolare attenzione riservata all’archeologia da parte del potere politico, già prima del periodo fascista. Il fascismo amplificherà poi questo aspetto, legando alle proprie vicende il concetto di romanità parallelamente a quello di patria e facendo in modo che la mitologizzazione strumentale della storia romana permeasse il vivere quotidiano.
Fonte: Redazione
Autore: Carlo Benitti
Cronologia: Arch. Romana

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