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EGITTO – I GRAFFITI FENICI DI ABU-SIMBEL.

Il successore di Nekao II, Psammetico II, organizzò una spedizione militare contro la Nubia, l’unica impresa militare in terra straniera che si ricordi attribuibile al faraone, la quale, ipoteticamente, aveva uno scopo difensivo, cioè doveva prevenire un attacco da Kush, oppure acquisire nuove ricchezze di fronte ad un esercito che richiedeva un soldo sempre più alto.

Entrambe le ipotesi sono possibili ma prive di un riscontro diretto, anche se probabilmente all’origine essa non era stata “studiata” con una effettiva portata politica, quale poi si svilupperà successivamente, in quanto i sovrani del Sudan si sentirono minacciati.

La battaglia si concluse con la sconfitta dell’esercito nemico e la cattura di 4200 uomini, ma Psammetico II non seppe sfruttare fino in fondo la vittoria così conseguita a tal punto che ritirò l’esercito fino alla prima cataratta ed Elefantina rimase la frontiera meridionale dell’Egitto, mentre la zona tra Elefantina e Takompso divenne una sorta di terra di nessuno tra Nubia ed Egitto.

Sulla via del ritorno dall’impresa nubiana, l’esercito di Psammetico II si accampò nei pressi del tempio di Ramses II ad Abu Simbel dove Greci, Cari e semitici, tra i quali anche i Fenici, hanno lasciato importanti tracce del loro passaggio scrivendo sulla facciata del tempio il loro nome e, in alcuni casi particolari, anche il patronimico o il luogo di provenienza. Il primo elemento che si può subito ricavare da questi graffiti, è dato dalla composizione dell’esercito nel quale non militavano solo mercenari greci, ma una vera e propria “legione straniera”. I graffiti più composti, cioè formati dal nome più l’indicazione del patronimico o il luogo di provenienza, sembra che rispecchino uno schema più o meno fisso: “X figlio di Y” o “X proveniente da Y”. I nomi seguiti dal patronimico si riferiscono a Greci che da un po’ di tempo risiedevano in Egitto, probabilmente discendenti da alcune generazioni di quegli “uomini di bronzo” che Erodoto ricorda, giunti circa un secolo prima e che si potrebbero chiamare Greci d’Egitto, cioè inseriti in terra egiziana in modo tale da non potersi chiamare più mercenari. Un esempio è dato dal nome del “fenicegizio” Abdeptah, un nome teoforo egiziano, che dimostra che, chi lo portava, era in Egitto da almeno una generazione, probabilmente inserito nell’ambiente menfita e che aveva fatto parte della truppa egiziana.

Invece, i nomi seguiti dal luogo di provenienza si potrebbero chiamare Greci in Egitto, cioè persone giunte qui da poco tempo, probabilmente per essere arruolati in questa specifica occasione e con la prospettiva di rientrare nelle proprie città al termine delle operazioni militari. Un esempio particolare potrebbe essere quello di un Fenicio che però si qualifica “di Menfi”. Infatti, il graffito fenicio più lungo è indicativo della cittadinanza egizia di alcuni Fenici: “Io sono Palastarte figlio di Sidyten figlio di Ghersid, il tirio attualmente abitante in Elaiopoli d’Egitto, nel quartiere di Abdelmerqat l’eliopolitano”, in cui si specifica l’origine tiria alla quale segue l’attuale cittadinanza eliopolitana.

Relativamente agli altri componenti dell’esercito non si sa molto, anche se sia per i Cari sia per i Fenici si potrebbe applicare la stessa classificazione che distingue fra “Greci in Egitto” e “Greci d’Egitto”. Più complicato, invece, risulta essere lo studio dei graffiti cari dal momento che questa popolazione si avvaleva di diversi sistemi alfabetici tali da sostenere che in Egitto le iscrizioni carie di Abu-Simbel presentano un sistema differente rispetto a quelle, poco più tarde, lasciate dalla comunità “cariomenfita” di Saqqara.

Sempre ad Abu-Simbel furono ritrovate anche due iscrizioni più lunghe, anch’esse da collegare con la questione dei mercenari, entrambe tracciate sulla gamba sinistra della statua colossale di Ramses II a sinistra dell’entrata 1 (vedi nota), le quali, anche se scritte in greco, a mio avviso vale la pena di ricordare perché mettono in evidenza la composizione eterogenea dell’esercito che marciò alla volta della Nubia. In un certo qual modo, entrambe queste iscrizioni completano i dati della Stele di Shellal fornendoci alcune informazioni dal punto di vista di chi la battaglia l’aveva combattuta veramente. Si potrebbe quasi affermare che la Stele e i due graffiti rappresentano due facce di un’unica medaglia. La Stele di Shellal, collocata nel punto in cui aveva preso il via la spedizione verso sud, vuole essere un monito nei confronti dei Nubiani e, nello stesso tempo, l’esaltazione di una faraone trionfante sui nemici grazie ad un esercito eterogeneo. Le notizie aggiuntive che si possono ricavare sono la denominazione del luogo dove con relativa precisione si spinse la battaglia e dove si è svolto l’episodio decisivo, e il nome del comandante della flotta.

Un aspetto interessante è dato dalla composizione dell’esercito. Questo era diviso in due corpi d’armata, uno formato da soli stranieri, mercenari Greci, Cari e Fenici sotto il comando di Potasimto, mentre il secondo era costituito da soli egiziani guidati da Amasis, mentre il comando supremo dell’esercito era in mano, ovviamente, al faraone Psammetico II il quale, durante la marcia, sostò ad Elefantina dove furono ritrovate altre due iscrizioni risalenti a Psammetico II.

Nota:

La prima, più lunga: “Quando il re Psammetico giunse a Elefantina, quelli che navigarono con Psammetico, figlio di Theokles, scrissero queste cose. Essi giunsero oltre Kerkis, fino a dove il fiume lo permetteva: gli stranieri li guidava Potasimto e gli Egiziani Amasis. Mi scrisse Archon figlio di Amoibichos e Pelekos figlio di Eudanos”.

La seconda, più breve: “Anaxanor di Ialisos mi scrisse quando il re Psammetico lanciò l’esercito per la prima volta insieme con Potasimto”.

Fonte: Redazione
Autore: Fabrizio Castaldini
Cronologia: Egittologia

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