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Arriva in Italia il monumentale saggio dello storico Robin Lane Fox: quel che resta di Greci e Romani.

Esiste ancora il mondo classico?

La domanda potrebbe suonare bizzarra, specie in Italia – paese nel quale, come diceva Aldo Palazzeschi, è attuale solo il passato. E in effetti in Italia il passato continua ad essere attuale: sì, ma quale?

Per trovare una risposta, occorre spostare l´obiettivo su un fenomeno che ha esercitato una notevole influenza sulla nostra percezione dell´antichità, ossia l´ingresso nel nuovo millennio. Fra le molte conseguenze che tale passaggio ha comportato, infatti, c´è anche questa: una volta tagliato il simbolico traguardo del duemila, è come se il mondo classico si fosse ulteriormente distaccato dalla nostra continuità culturale.

Se fino alla conclusione del secondo millennio la percezione dell´antichità rimontava almeno agli inizi del primo, e oltre, dopo l´ingresso nel terzo millennio c´è stato come uno scorrimento nella graduatoria temporale: e l´antichità percepita, quella sentita come contigua alla nostra modernità, si è identificata piuttosto con il medioevo. Il quale costituisce per l´appunto il passato che è oggi “attuale” in Italia.
Le motivazioni di questo mutamento di percezione non sono da attribuire solo al passaggio di millennio. Tutti ricorderanno, per esempio, il dibattito sulle “radici cristiane” della cultura occidentale. Questa discussione presuppone che le origini, il punto iniziale della nostra cultura – come appunto sono le radici per una pianta – coincidano con il cristianesimo, e quindi non debbano risalire più indietro. Cosa che, di fatto, taglia fuori dal nostro passato vivente personaggi come Omero, Platone o Virgilio.

E anche quando si propone di sostituire questa dizione con l´altra di “radici classiche e cristiane”, il problema in realtà non si sposta: perché, così facendo, della cultura classica si tende a privilegiare solo quanto sarebbe confluito nel filone cristiano.
Il fatto è che l´antichità greca e romana si sta riducendo ad un´anima trasmigrante – quando si manifesta, lo fa perlopiù sotto altre sembianze.

C´è il classico che si reincarna nella cultura cristiana e quello che trasmigra nei prodotti della fiction di massa, come Il gladiatore o Troy (per non parlare delle Termopili ridotte a video game); c´è il classico che rinasce nei personaggi del melodramma, da l´Incoronazione di Poppea a Norma, riscuotendo anzi un discreto successo di pubblico e di studi; e c´è quello che fa capolino tra gli elmi e le corazze della pittura rinascimentale, amato dagli storici dell´arte e dai frequentatori dei musei.

Sempre più spesso, insomma, abbiamo a che fare con i greci o i romani “di qualcun altro”, sempre meno con quelli che appartenevano solo a se stessi.
È questo il panorama in cui si affaccia l´ultima fatica di Robin Lane Fox, lo storico antico di Oxford noto per la sua biografia di Alessandro Magno.

Il titolo di questo nuovo libro, tradotto da Davide Tarizzo e corredato di una speciale bibliografia per il lettore italiano curata da Marco Bettalli, è molto eloquente: Il mondo classico. Una storia epica della Grecia e di Roma (Einaudi, pagg. 708, euro 32).

Dunque al centro del quadro c´è lui, il mondo da cui ci stiamo in qualche modo distaccando. Ma per quale motivo questa storia vuol essere addirittura “epica”? Soprattutto perché, in un sol colpo, si raccontano ben nove secoli di storia, quelli che intercorrono fra Omero e l´imperatore Adriano.

Dalle origini della cultura greca, Lane Fox ci conduce fino al 138 dopo Cristo, anno in cui l´imperatore si spense a Baia. La scelta di arrestare il proprio epos con questa data, svela le intenzioni non solo storiografiche, ma soprattutto narrative dell´autore. Perché questo è il libro di uno storico che ha voglia di raccontare, e che per farlo sceglie una tecnica letteraria piuttosto originale.

I lettori che Lane Fox ha in mente, infatti, sono due: esterno il primo, interno il secondo. Il lettore esterno siamo noi, uomini del terzo millennio, a cui lo storico si rivolge «senza dare per scontata nessuna familiarità con l´argomento». Quanto al lettore interno, si tratta appunto del personaggio con cui l´epos si conclude: Adriano.
Per comprendere le ragioni di questa scelta, basta ricordare che il “grechetto”, come lo chiamavano i maligni, attraversò senza sosta i territori del suo impero essenzialmente per «visitare tutti i luoghi di cui aveva letto», come scrisse un biografo; e che nella sua celebre Villa di Tivoli volle riprodurre il Liceo, l´Accademia, il Pritaneo, il portico Pecile, la valle di Tempe e perfino l´Ade.
In altre parole, sui secoli che lo avevano preceduto Adriano rivolse per primo uno sguardo “classico”, considerandoli in qualche modo un periodo concluso, un tesoro di memorie che occorreva non solo conoscere, ma anche tutelare. In questo modo il lettore interno dell´opera di Lane Fox finisce per identificarsi con il lettore esterno, noi; che al mondo classico ci rivolgiamo – o meglio, dovremmo rivolgerci – con un sentimento simile.
Lungo il cammino di questo epos narrativo, dunque, Adriano ci viene incontro ben prima dell´ultimo capitolo, quello che gli è dedicato.

Nelle pagine sui grandi regni ellenistici, per esempio, è lui che ci accompagna nella visita di Alessandria, sede della celebre biblioteca; mentre sugli spettacoli pubblici inaugurati a Roma da Augusto, già sentiamo posarsi lo sguardo dell´imperatore che centocinquanta anni dopo dovrà promuovere anche lui musica, danza e teatro.

A questo punto, si potrebbe sospettare che anche il mondo classico di Lane Fox sia quello “di qualcun altro”, come sopra si diceva; in altre parole che sia “il classico di Adriano”.
Non è così, lo storico non cede alle lusinghe della reincarnazione. Al contrario, per descrivere il mondo classico Lane Fox sceglie sempre un punto di vista estremamente “interno” ad esso – fino al punto di ricorrere direttamente alle tre categorie che gli antichi stessi utilizzavano per parlare della propria società: giustizia, lusso e libertà.
Né può essere un caso che, a dispetto del lettore interno che si è scelto, Lane Fox non faccia mai menzione della Yourcenar. Preferisce raccontarci piuttosto di Apollonio, il funzionario di Tolomeo II che in Egitto rivoluzionò l´arte del giardinaggio e della coltivazione – sulla scorta di Teofrasto, il filosofo che studiò con passione la fioritura del ciliegio e le differenze fra il pero selvatico e quello domestico. Né l´autore esita a condurci fino in Afghanistan, sulle rive del fiume Amu Daria.

Nel sito di Ai-Khanum sorgeva infatti una grande città ellenistica, fra le cui rovine sono state ritrovate, incise, le massime di Delfi; laggiù gli antenati dei Talebani veneravano gli dei della Grecia. Una grande lezione che la storia antica può dare a tutti coloro che promuovono la separazione, o il conflitto, fra le culture.
Se dovessimo davvero perdere i contatti con il mondo classico, che cosa accadrebbe?

Facile prevedere che il Colosseo sarebbe ben presto considerato opera di creature astrali, come Stone Henge, mentre l´eroe greco Edipo verrebbe definitivamente abbandonato “sul monte Citterio”, come del resto ha già scritto un mio studente. Ma non si tratta solo di questo.

I greci e i romani avevano già capito molto della vita e della politica, dimenticare la loro lezione sarebbe un peccato. Quando Adriano abbandonò al loro destino le terre di là dal Tigri e dall´Eufrate, prese esempio da Catone il vecchio. Secondo il quale «occorreva lasciar liberi i popoli che non potevano essere protetti». Forse, se il presidente Bush avesse letto questa frase, avrebbe desistito dall´idea di “proteggere” l´Iraq.


Fonte: La Repubblica 03/01/2008
Autore: Maurizio Bettini

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