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Al via l’estrazione del Dna: nuove tecniche per non contaminarlo.

Ruberemo la storia segreta dei vichinghi di mille anni fa.

In un’area attentamente recintata, un gruppo di uomini, bardato con tute bianche, cuffie e maschere, maneggia un teschio che emerge dalla terra.
Non siamo sulla scena di un delitto, ma in un sito archeologico. Si tratta del complesso tombale pagano di Galgedil nell’isola di Funen, in Danimarca, da cui sono emersi i resti di 10 vichinghi che risalgono a un migliaio di anni fa.
Gli uomini sono archeologi e genetisti dell’Università di Copenhagen e sono alle prese con l’estrazione di DNA antico – chiamato anche aDNA (da «ancient DNA») – dal dente ben preservato di un teschio, appunto.
I primi test su questi indizi emersi da un tempo lontano sono stati un successo, come è stato riportato sulla rivista «PLoS One» dal gruppo di ricercatori danesi coordinati da Jørgen Dissing, che ha così commentato:
«Siamo stati fortunati, perché di solito il funerale tradizionale vichingo contempla la cremazione in una pira lungo il mare. In questo caso, invece, questi vichinghi furono sotterrati».

L’estrazione di DNA antico rappresenta una sfida e una straordinaria opportunità. Offre, per esempio, preziose informazioni sull’origine di molte malattie genetiche, sull’andamento delle migrazioni dei nostri progenitori e sulle tipologie tribali e familiari: si tratta, quindi, di una finestra che rivela i legami tra le popolazioni del passato e quelle del presente.
Sfortunatamente, restano molti problemi sul recupero e sull’analisi dei geni di organismi antichi: le molecole intatte, in genere, sono scarse e la situazione è spesso compromessa quando si ha a che fare proprio con i resti umani.
Il punto fondamentale è il rischio di contaminazione con il DNA moderno.
«La domanda che ci poniamo sempre è la seguente: “Il DNA umano antico è veramente antico?” – commenta Michael Hofreiter, esperto in biologia evolutiva al Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology di Lipsia -. E a questo proposito esistono due scuole di pensiero. C’è chi sostiene che ia impossibile manipolare aDNA e chi, invece, crede sia possibile, anche se con qualche dubbio. Questa seconda «linea» è stata ora corroborata dal lavoro danese, un gruppo stimato da tempo nella comunità scientifica».
Resta il fatto che da almeno un ventennio sono stati numerosi i tentativi di recuperare l’aDNA: dalle mummie egizie, per esempio, e poi da resti etruschi e anche da ossa di uomini di Neanderthal.
«Per molto tempo si è avuta la sensazione che tutto fosse possibile, mentre si raccoglievano i primi dati di sequenziamento di specie antiche, risalenti a migliaia o adirittura a milioni di anni fa», racconta Linea Melchior, dell’Università di Copenhagen.
Era l’effetto «Jurassic Park». E tutto nuovo: la tecnica della PCR, che permette di amplificare il numero di molecole corrispondenti al tratto di DNA che si vuole analizzare fino a un milione di volte, era stata introdotta nei laboratori solo dagli Anni 80. Non si pensava certo alle possibili contaminazioni. Ma quando si manipola aDNA umano, i rischi di «sporcarlo» sono grandi. Basti pensare che gli esseri umani sono coinvolti in tutti i momenti della ricerca, a partire dalla fase degli scavi fino a quella dell’analisi in laboratorio.
E, infatti, molti risultati sono stati confutati in un secondo tempo e spiegati sulla base della presenza di DNA contemporaneo e contaminante, proveniente da chi era coinvolto nelle opere di ricerca.

«Adesso, invece, si è molto più cauti e più consapevoli nelle valutazioni – continua Melchior -. Nella comunità scientifica si sente l’urgenza di stabilire criteri e parametri precisi. Ecco perché abbiamo cercato di introdurre tutta una serie di accorgimenti e di precauzioni riproducibili. Gli archeologi sul campo e poi noi, in laboratorio, eravamo completamente coperti: tutto era stato reso il più sterile possibile. E particolare è stato il recupero dei denti».
Invece di trasportare i teschi in laboratorio e iniziare l’estrazione dei denti in una fase successiva – spiega – «in questo caso i denti, due per ciascun individuo, sono stati estratti il più velocemente possibile in loco. E poi, come controllo, si è estratto ogni volta un dente alla vecchia maniera».
L’importanza di tutte queste precauzioni è evidente: se maneggiando il DNA sono state contaminate le sequenze di quattro degli otto denti estratti con le procedure «vecchie», le analisi in loco si sono rivelate invece miracolosamente «pulite»: contengono sequenze geniche che sono state ritrovate solo di rado nella popolazione scandinava moderna e ora – annunciano i ricercatori – potranno partire le nuove ricerche sui progenitori vichinghi, sugli intrecci tribali e sui rapporti con altre popolazioni. Rapporti molto vasti, dato che sono stati non solo grandi guerrieri ma anche abilissimi commercianti.


Fonte: La Stampa – Tuttoscienze 30/07/2008
Autore: Marta Paterlini
Link: http://www.lastampa.it/_settimanali/tst/default_PDF.asp?pdf=7

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