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TERNI. Beni culturali, Codice da estendere.

È quanto rilevato durante un congresso a Terni, organizzato per celebrare il decennale Aipai. La definizione va allargata anche al patrimonio industriale.

«L’ampliamento e la ridefinizione degli elenchi dei beni culturali e dei beni paesaggistici potrebbe portare presto al riconoscimento da parte della legislazione statale del patrimonio industriale». È quanto ha affermato, durante il congresso di Terni «Beni culturali e patrimonio industriale», celebrativo del decennale Aipai (Associazione italiana per il patrimonio archeologico industriale),
Renato Covino, professore dell’università di Perugia e nuovo presidente Aipai, confidando nel lavoro delle due commissioni istituite dal ministero dei beni culturali, l’una incaricata della riscrittura del Codice dei beni culturali e del paesaggio, e l’altra della definizione degli standard concernenti la valorizzazione.
«L’azione del ministero», ha continuato Covino, «asseconderebbe quella diffusa sensibilità a livello di massa, che ha consentito di emancipare il bene culturale dalla riduttiva eguaglianza con il bello, e di allargare la definizione, includendo una serie più ampia di beni, tra cui anche quelli originati dall’industria».
Questi ultimi, infatti, soffrono ancora di uno statuto incerto e di una legittimazione incompiuta, sorretti da politiche attuate a macchia di leopardo e dagli esiti spesso reversibili, sottomessi al perdurante conflitto tra valori culturali e interessi speculativi.
«Oggi», ha dichiarato Giovanni Luigi Fontana, direttore del dipartimento di storia economica all’università di Padova e presidente della sezione italiana del Ticcih (The international committee for the conservation of industriai heritage), «ci troviamo su una sorta di crinale, sospesi tra il compiacimento per il moltiplicarsi di iniziative e di realizzazioni e la crescente inquietudine per le contemporanee, continue distruzioni di documenti ed edifici, testimonianze essenziali per i nostri studi e per la trasmissione della memoria storica di imprese, settori produttivi e tenitori».
Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, peraltro, non cita (art. 136) il paesaggio industriale tra i beni paesaggistici ed elenca solo (art. 10 e 11) tra i diversi beni culturali su cui si esercita la tutela i siti minerari, le navi e i galleggianti, i mezzi di trasporto aventi più di 75 anni e i beni e gli strumenti d’interesse per la storia della scienza e della tecnica aventi più di 50 anni.
«La tutela», ha precisato Fontana, «assumerebbe, tra l’altro, un risvolto più direttamente operativo, perché consentirebbe l’inserimento del patrimonio industriale italiano in diversi programmi di finanziamento europei, e permetterebbe di replicare in Italia le positive esperienze di molti paesi del Nord Europa e di alcuni dell’area mediterranea (Spagna, Portogallo, Grecia), che hanno visto la realizzazione di reti museali ed ecomuseali con frequenti positive ricadute sui processi di sviluppo locale». L’Aipai, presente in quasi tutta l’Italia con sezioni regionali attive sul territorio, auspicherebbe alla diffusione dell’uso del patrimonio della produzione, oltre che per generare forme nuove di turismo culturale, per avviare processi di crescita economica, di ricerca d’identità e di memoria critica di un territorio.
Attraverso la conservazione dei paesaggi storici, di cui i beni della produzione sono parte integrante, le culture territoriali potrebbero diventare valori stabili e rinnovare il patto fondativo di una comunità. I beni culturali, anche quelli di valenza archeologico-industriale potrebbero così proporsi come uno strumento di autoriconoscimento, capace di fare comunità e garantire la governabilità di un territorio, costruendo livelli di coesione maggiore e restituendo alle popolazioni insediate significati destinati, altrimenti, ad andare perduti. Aipai, con la sua struttura reticolare, aperta alle altre realtà associative e culturali e alle partnership con le autonomie locali, lavora in tale direzione ed educa al dialogo, al confronto e alla negoziazione quei giovani professionisti, formati dal Master internazionale in conservazione, gestione e valorizzazione del patrimonio industriale, istituito nel 2002-2003 anche grazie al contributo dell’associazione.


Fonte: Italia Oggi 09/08/2007
Autore: Mila Sicheba

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