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SARDEGNA. I piccoli siti archeologici a rischio chiusura.

Il 28 febbraio il sito SardinaPost.it ha pubblicato un articolo sulla situazione, piuttosto grave, in cui si trovano i piccoli siti archeologici che rischiano l’imminente chiusura. E’ un fenomeno che non tocca solo la Sardegna, ma riguarda tutto il territorio nazionale e naturalmente non solo le aree archeologiche ma anche o sopratutto i piccoli musei che numerosissimi ed insieme, rappresentano la particolarità dei nostro Paese. Riportiamo in parte l’articolo che ben fotografa la situazione e ci ripromettiamo di approfondire il tema provando a capire se una situazione più strutturale o magari un po’ rivoluzionaria può essere delineata.
Quale futuro per i piccoli siti archeologici sardi?
Per il ministro alla Cultura Franceschini il 2015 è stato un anno d’oro per i musei e i siti italiani ma le cifre dei piccoli centri parlano di crisi e di chiusure. I dati governativi indicano afflussi record nei più importanti musei e monumenti della penisola: Colosseo, Uffizi, Pompei. Milioni di turisti hanno garantito introiti massicci grazie ai biglietti d’ingresso. Il Lazio, solo per fare un esempio, ha avuto quasi 20 milioni di ingressi e oltre 62 milioni di euro di introiti (la Sardegna poco più di 450 mila visitatori, con conseguenti introiti ridotti). Cifre impressionanti se rapportate a quelle dei piccoli siti, gestiti il più delle volte da Cooperative, società e consorzi che vivono soprattutto grazie ai finanziamenti delle rispettive regioni di appartenenza (i musei nazionali, invece, sono controllati direttamente dallo stato). Molti di questi siti e musei sono stati costretti a chiudere i battenti e parecchi si trovano in Sardegna. La vicenda continua e i siti a rischio in Sardegna sono numerosi. La denuncia dell’Agci Sardegna, l’Associazione generale delle cooperative italiane, che raggruppa oltre la metà delle cooperative impegnate nella gestione dei siti e dei musei sardi, conferma questo trend. La mancanza di risorse è il limite. I fondi che la Regione aveva messo a disposizione nel bilancio 2015 non sono bastati. Non è una novità, ecco perché siti – che dovrebbero rimanere aperti tutto l’anno – chiudono per qualche mese, mettendo a repentaglio il lavoro e la vita dei circa 600 lavoratori che si occupano della gestione del patrimonio artistico isolano. Sì, perché oltre ai dipendenti legati ai siti archeologici, in busta paga ci sono anche archeologi, guide, addetti alla biglietteria e ai servizi, operai e giardinieri, circa due terzi abbondante dell’intero patrimonio dei beni culturali sardo.
Senza dimenticare i dipendenti delle biblioteche e degli archivi regionali. Il problema è sempre lo stesso: la Regione non stanzia il dovuto e non riceve nessun tipo di finanziamento per questo tipo di servizio da parte dello Stato e lo stesso Stato non reinveste gli introiti della gestione culturale a tutti i livelli nella tutela e valorizzazione del patrimonio culturale isolano. A rischio ci sono anche realtà come nuraghe Losa ad Abbasanta, il pozzo sacro di Santa Cristina di Paulilatino, solo per nominarne alcuni.
I dati parlano chiaramente: 53 siti gestiti da 30 cooperative. I Comuni sono i titolari dei siti e le cooperative che li hanno in gestione sono costantemente in apprensione. C’è persino chi è rimasto mesi senza stipendio, indebitandosi con le banche e garantendo comunque l’apertura del sito. Ancora si va avanti con proroghe annuali o triennali nonostante nel 2006 sia stata approvata la legge regionale che, finalmente, prevedeva la nascita del piano di gestione dei beni culturali dell’Isola. Solo sulla carta, perché la legge regionale di riordino non è stata mai attuata praticamente e tuttora regnano proroghe e incertezza.
Il futuro dei piccoli. E allora, cosa può essere fatto per tutelar questi piccoli siti? Spesso gli intenti politici, le norme e il buon senso non combaciano. Sulla carta esistono i finanziamenti garantiti dalla ex 28, per una proroga che garantirà una copertura sino al 31 dicembre di questo anno. E poi?
“E poi bisognerà ottimizzare le risorse”, afferma Roberta Sanna, direttore regionale del Servizio Beni Culturali e Sistema Museale, “molte problematiche potrebbero essere risolte con una gestione coordinata di siti e musei”.
Chi fa da sé fa per tre? “In parte è così”, continua Sanna, “i siti potrebbero essere raggruppati per “sistema tematico” o “territoriale” e i siti dovrebbero essere almeno parzialmente sostenibili, anche perché i fondi pubblici non possono fornire il cento per cento”.

Fonte: www.quotidianoarte.it, 1 marzo 2016

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