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PESARO (Pu). Il Getty Bronze, un giallo archeologico.

Il “Getty Bronze”, la statua dell’Atleta di Fano, attribuita allo scultore greco Lisippo, è da 43 anni al centro di un giallo di archeologia subacquea, e del più celebre contenzioso d’arte fra Stati – l’Italia e gli Usa – in epoca contemporanea.

Ripescato «all’alba di un venerdì del mese di settembre del 1964» al largo di Fano, dal peschereccio “Ferruccio Ferri” del capitano Romeo Pirani, il bronzo è più volte scomparso e riapparso sul mercato illegale delle opere d’arte, fino ad approdare, al prezzo di 3 milioni e 900mila dollari, fra i beni del Museo Getty di Malibu, che lo espose per la prima volta nel 1974.

Esportato illecitamente secondo l’Italia, che forte di un parere dell’Avvocatura dello Stato ne rivendica la proprietà; recuperato in acque internazionali, e acquisito dal Getty solo dopo che le autorità giudiziarie italiane avevano dichiarato l’insussistenza di prove sull’appartenenza all’Italia, stando invece al direttore del museo americano, Michael Brand.

La pesca miracolosa. «Avevo gettato le reti 40 miglia al largo di Fano. Tirai su, e mi trovai di fronte una statua di bronzo senza piedi, tutta incrostata. Sembrava un palombaro», raccontò Romeo Pirani. Il pescatore è morto nel 2004 senza mai rivelare il luogo esatto del ritrovamento, ma ha lasciato un quaderno di appunti con la mappa della sua caccia al tesoro.

Con i compagni, sotterrò il bronzo in un campo di cavoli a Carrara di Fano. «Volevamo venderlo, e abbiamo fatto circolare una sua fotografia. A gennaio del 1964 si è presentato un signore di cui non so il nome, che l’ha comprato per tre milioni e mezzo. Ce li siamo spartiti fra noi».

I processi. Quattro processi, un annullamento e nessuna verità. La storia giudiziaria del Lisippo è contrassegnata da reati senza colpevoli. Il 18 maggio 1966 il Tribunale di Perugia assolse per insufficienza di prove tre commercianti di Gubbio, Pietro, Fabio e Giacomo Barbetti, e un sacerdote, don Giovanni Nagni, imputati a vario titolo per la ricettazione del bronzo e favoreggiamento. Il 27 gennaio del 1967 la corte d’Appello li condannò, ma la sentenza fu annullata dalla Cassazione nel maggio 1968.

Nuovo processo e assoluzione in appello, a Roma, il 18 novembre del 1970. Impossibile, argomentarono i giudici, accertare l’interesse artistico, storico e archeologico del “Lisippo”, nel frattempo scomparso, e se fosse stato ritrovato in acque territoriali o internazionali.

Espatrio misterioso. Secondo il maggior esperto fanese, il prof. Alberto Berardi, la statua lasciò Gubbio con una spedizione di forniture mediche inviate in Brasile a un missionario parente dei Barbetti. Herzer sostenne di aver acquistato il bronzo da una collezione sudamericana, per conto del consorzio internazionale d’arte Artemis, affidandola per il restauro al Doerner Institut di Monaco, nel 1971.

Paul Getty. Thomas Hoving, direttore del Metropolitan Museum, esaminò il bronzo nel 1972 a Monaco, ma rinunciò all’acquisto: i dubbi sulla provenienza erano troppi. Anche Paul Getty, il mecenate fondatore del museo californiano, sposò questa linea di condotta. Ma dopo la sua morte l’operazione andò in porto.

Nuovi scenari. Nel 1989 Dario Felici, che aveva dissotterrato la statua dal campo di cavoli, fece avere alla procura di Pesaro un frammento di concrezione marina, staccatosi dal bronzo per un colpo di vanga. Un altro frammento sarebbe stato in possesso di uno dei Barbetti, ma quando il “Lisippo” ricomparve a Malibu la magistratura si ritrovò impotente: i reati ipotizzabili erano prescritti.

L’Italia si muove. Il direttore generale dei Beni culturali segnalò nel 1990 al ministero degli Esteri il ritrovamento della concrezione marina. Ma è solo con il ministro dei Beni culturali Rocco Buttiglione, e soprattutto con il suo successore, il vicepremier Francesco Rutelli, che ingaggia un braccio di ferro con il Museo Getty, che la battaglia per il “Lisippo” diventa centrale.

L’esposto. In quasi mezzo secolo, Fano non si è mai rassegnata a perdere l’Atleta. Il 4 aprile 2007, l’avv. Tullio Tonnini, presidente dell’associazione “Le cento città”, presenta un esposto al pm di Pesaro Silvia Cecchi per violazione delle norme doganali e contrabbando. In estate, il magistrato chiede al gip la confisca della statua, una sanzione accessoria esigibile anche se il reato è prescritto.

Ma ieri il gip Daniele Barberini rigetta la richiesta.

 


Fonte: Il Tirreno 20/11/2007

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