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FORMA URBIS. Donne nell’antichità.

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Sovrane combattive, potenti aristocratiche, figure mitiche o mitologiche spesso passate alla storia. Un suggestivo affresco in cui si alternano donne forti o rassegnate che hanno saputo opporre la propria voce al mutismo dell’obbedienza e al silenzio dell’ignoranza.
Da qualche anno il prestigioso mensile Forma Urbis dedica il numero di marzo alle diverse declinazioni del femmineo nell’antichità mentre dal 2012 la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna propone, in occasione della Giornata ONU per l’eliminazione della violenza contro le donne, l’iniziativa “Donne nell’antichità. Le radici della civiltà del rispetto”, serie di eventi mirati a riscoprire quanto il mondo antico ha elaborato rispetto a una considerazione positiva del ruolo femminile.
Inevitabile che il comune obiettivo portasse i due soggetti a collaborare, focalizzando l’attenzione su quegli aspetti del mondo etrusco-italico e romano -e non solo- che già esprimono un netto superamento della visione spesso troppo maschilista di quello greco antico.
Da questo abbraccio fra Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna e Forma Urbis – tra l’altro Media partner dell’edizione 2013 – nasce il numero di Marzo 2014 che sotto il titolo di “Donne nell’antichità” raccoglie una serie di approfondimenti curati quasi interamente da archeologi della Soprintendenza.
La rivista, si apre con l’editoriale di Simona Sanchirico dedicato all’esponente femminile per eccellenza del clero apollineo, la Pizia di Delfi, la sacerdotessa di Apollo che pronunciava gli oracoli per conto del dio, assisa su quella fenditura nel terreno da cui usciva lo pneuma divino, il fumo capace di inebriarla prima di profetizzare.
La presentazione dell’ex Soprintendente per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna, Filippo Maria Gambari, oggi al vertice della Lombardia, tira le somme di queste due edizioni della kermesse – che hanno visto il coinvolgimento progressivo di sempre nuovi partner e associazioni -, rimarcando il ruolo dell’antichità quale fonte di ispirazione e riflessione anche, o forse proprio, in virtù della sua lontananza dalle attuali divisioni politiche e religiose.
I successivi approfondimenti degli archeologi della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna e dei loro collaboratori sono accomunati dall’obiettivo di analizzare aspetti della condizione femminile trascurati o ignorati rispetto a luoghi comuni e ad atteggiamenti -purtroppo assai diffusi- che interpretano la violenza contro le donne come un fenomeno “naturale”, radicato e giustificato fin dall’antichità.
Si va da “Uomini che inseguono le donne. La non-immagine della violenza contro le donne sui vasi attici dalla città etrusca di Spina” di Mario Cesarano, con approfondimenti di Chiara Ballerini, Chiara Guadagnino ed Eleonora Poltronieri, a “Donne etrusche e donne greche: due casi dalla necropoli di Spina” di Valentino Nizzo, con approfondimenti di Chiara Ballerini, Paola Cossentino, Eleonora Poltronieri ed Eleonora Rossetti, al contributo di Francesca Cenerini, docente di Storia Romana all’Università degli Studi di Bologna, che illustra la storia leggendaria della morigerata “Lucrezia”, capace di morire pur di non disonorare la propria virtù.
Chiudono questo numero dedicato alle donne nell’antichità l’articolo di Filippo Maria Gambari, “Boudica e la rivendicazione del rango femminile nel mondo celtico” e quello di Manuela Catarsi dal titolo “Le donne dei guerrieri venuti dal Nord”.

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