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AA.VV., Pompei. Storia, vita e arte della città sepolta.

Distrutta dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., cercata per secoli e ritrovata nel Settecento, la città di Pompei non smette di impressionare l’animo di chi la visita.

La White Star, casa editrice del National Geographic, ha recentemente dato alle stampe uno splendido volume sull’argomento, Pompei. Storia, vita e arte della città sepolta a cura di Marisa Ranieri Panetta (Vercelli 2004, pp. 416, €80), che si propone di guidare i lettori in un tour degli scavi che prenda primariamente in considerazione la vitalità storica della città sommersa dai lapilli per non dimenticare che ciò che oggi viene considerato archeologia, fino a ieri era animato da un vivace tran tran quotidiano. Il maggior pregio di questo libro creato in collaborazione con le soprintendenze di Napoli e Pompei è da ravvisarsi, oltre che nell’eccellente qualità editoriale, proprio nel tentativo di superare la visione semplicistica degli scavi contemplati unicamente attraverso l’ottica di storici dell’arte per aprirsi ad uno studio polivalente che prenda in considerazione tutti gli aspetti della città sepolta, dai commerci alle abitazioni.

Sono i segni della piccola storia di tutti i giorni, fermati come in un’istantanea dalle ceneri del vulcano, a parlarci dell’età antica in cui Roma era una super-potenza ed il ritmo della vita era scadenzato dai cicli della natura e come sempre, dalle attività umane.

Nell’area limitrofa a Pompei, una florida campagna costellata di piccole e grandi proprietà fondiarie era appannaggio di modesti o rilevanti produttori agricoli che impiegavano una notevole quantità di servi nella coltivazione dei campi, nella raccolta delle olive e nella spremitura dei grappoli d’uva, nella coltivazione dei cavoli, dell’aglio, della bietola e della mentuccia, di meloni, zucche, fave, piselli, ceci, cicorie, broccoli di rapa, carote, lenticchie e lattughe. Le varie “liste della spesa” ritrovate graffite qua è là sui muri della città, insieme ad i semi rinvenuti sotto lo strato di cenere, ci danno l’idea della varietà dell’antica dieta mediterranea e di ciò che avremmo potuto acquistare a quell’epoca sui banchi del mercato.

La presenza della Casa di Ercole, vera e propria officina per la produzione di unguenti dove venivano coltivati in ingente quantità anche fiori ed ulivi, ci lascia pervenire poi diretta testimonianza di forme di coltura destinate ad un mercato basato non solo su beni di prima necessità ma anche su prodotti di bellezza e di maquillage. Il tentativo di eliminare i peli superflui, di valorizzare l’incarnato ed i tratti del volto per mezzo del trucco, di dare ai cappelli riflessi dorati, l’importanza attribuita a terme e profumi, sono esigenze nate 2000 anni fa e le ampolline colorate nelle quali sono state trovate tracce di mirto o di rosa insieme al prezioso campionario di gioielli riemerso alla luce, rappresentano una reale testimonianza di quanto peso avesse, anche all’epoca, la cura del corpo.

La realtà quotidiana della gente di allora ci viene tramandata anche dall’organizzazione delle case che, ai primi scopritori, apparivano così come se i proprietari avessero socchiuso l’uscio per rientrare da un momento all’altro. I vivaci apparati decorativi, pittorici e pavimentali, i giardini abbelliti da statue e fontane, gli arredi ancora disposti nei vari ambienti, tutto dà la misura dell’improvvisa distruzione di un mondo che ancora sembra attendere di risvegliarsi e riprendere vita; tutto a Pompei ancora è in grado di spiegare le tangenze e le differenze tra le nostre abitazioni moderne e quelle antiche. Se le nostre case sono sostanzialmente aperte verso l’esterno, le dimore di epoca romana, nelle loro diverse tipologie, presentano la caratteristica comune di erigere una separazione tra gli ambienti interni e lo spazio circostante. Nelle alte mura si articolano piccole finestre, spesso simili a feritoie, che si aprono sulla strada a grande altezza dal suolo. L’assetto architettonico delle case era però notevolmente influenzato dalla posizione economica del proprietario e soprattutto, dalla necessità di ricevere o meno visitatori che determinava una distinzione tra aree riservate alla vita privata e altre accessibili agli ospiti. Tra queste aree sorte per accogliere gli ospiti, spiccava l’atrio, affiancato, a partire dal II sec. a.C. dal peristilio. A seconda dell’importanza degli ospiti e del momento della giornata in cui erano ricevuti variava il luogo in cui venivano accolti mentre, la possibilità di scegliere tra un ampio ventaglio di ambienti era un segno altamente distintivo del grado sociale del proprietario della casa che, sottolineava il suo status, anche attraverso lo sfarzo degli arredi e degli apparati decorativi, in linea di massima visibili a chiunque sbirciasse lungo l’asse della porta d’ingresso, a tal proposito lasciata abitudinariamente aperta.

Alla vigilia delle elezioni politiche, la città era brulicante di gente e di voci ed il brusio delle sue strade dopo millenni è ancora udibile. Il volto di Pompei che il prezioso volume della White Star si propone di evocare è per l’appunto questo, un volto in movimento, rincorso tra i giagicli sfatti e gli usci socchiusi di una città perduta e ritrovata, pietrificata ma mai annullata, per non dimenticare che l’archeologia non è una sorta di scienza cimiteriale ma studio mediante il quale si vivifica l’età antica.

Casa Editrice White Star, Vercelli 2004, pp. 416, € 80.

Autore: Barbara Carmignola
Cronologia: Arch. Romana

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